Contenzioso

Rami d’azienda, cessione solo con gli asset

di Cristina Brevi e Uberto Percivalle

La Cassazione, con sentenza 1316/17 depositata ieri, ha affrontato ancora la nozione di trasferimento di ramo d’azienda , ritenendo non sussistente una cessione in base all’articolo 2112 del Codice civile nel caso in cui non vengano trasferiti, oltre ai dipendenti addetti al ramo stesso, anche quei beni materiali essenziali e indispensabili per l’esecuzione dell’attività lavorativa e qualora i lavoratori ceduti non abbiano quell’autonomia operativa necessaria a determinare il contenuto della prestazione lavorativa.

Tale pronuncia prende spunto dal ricorso di alcuni lavoratori di un call center, che svolgeva attività di assistenza clienti, contro l’ex datore di lavoro che aveva ceduto quale ramo d’azienda tale attività (o meglio, solo la parte d’assistenza a privati e piccole aziende, non anche quella svolta per i clienti definiti “top”, che il datore considerava un ramo diverso). Con ben nove motivi di impugnazione, i dipendenti hanno chiesto alla Cassazione di cassare la decisione della Corte d’appello (che, come quella del Tribunale, aveva ritenuto sussistere una cessione d’azienda).

Dei vari passaggi dell’argomentare dei giudici emerge innanzitutto l’attenzione rivolta al fatto che, nonostante il trasferimento avesse riguardato un numeroso gruppo di dipendenti, ma anche computer ed altri apparati, la società esternalizzatrice avesse solo concesso in uso al cessionario i data base e i relativi software (sebbene per un lungo termine). Secondo la Corte, la separazione della titolarità di elementi patrimoniali che in origine facevano tutti capo alla società esternalizzatrice, impedirebbe di riconoscere all’”articolazione aziendale” ceduta l’autosufficienza necessaria per qualificarla come ramo d’azienda, privando così di giustificazione il trasferimento dei dipendenti. A dire il vero la Cassazione sente il bisogno di giustificare il fatto che in altri casi la Corte di Giustizia Ue avesse ricondotto al concetto di ramo d’azienda anche fattispecie in cui gli elementi dell’azienda erano riconducibili alla titolarità di soggetti diversi, spiegando che in tali casi non era intervenuta una separazione operata dal soggetto cedente.

Sono molto interessanti anche i passaggi in cui la Corte, in aggiunta a quanto sopra, si sofferma sulla circostanza per cui tutte le procedure operative (dall’individuazione degli obiettivi aziendali all’autorizzazione delle trasferte) erano determinate a livello centrale dall’esternalizzatore. Secondo la Corte ciò avrebbe dimostrato la mancanza di autonomia nell’organizzazione del lavoro del ramo ceduto (anche questa una circostanza incompatibile con il riconoscimento della natura di ramo d’azienda).

La lettura complessivamente severa e limitativa della Corte emerge nel passaggio in cui denuncia l’erroneità della conclusione «che la struttura produttiva ceduta sia identica a quella preesistente», raggiunta dai giudici di merito: non sappiamo se quelle fossero le parole dei giudizi pregressi, ma pare quasi che agli occhi della Cassazione la prescrizione codicistica che il ramo d’azienda conservi la propria identità nel trasferimento diventi il più stringente requisito per affermare che la struttura del ramo sia identica prima e dopo il trasferimento.

La sentenza 1316/17 della Corte di cassazione

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