Contenzioso

Per licenziare vale la regola più recente

di Serena Fantinelli e Massimiliano Biolchini

Un lavoratore è stato licenziato a seguito di una pluralità di contestazioni di fatti per i quali il contratto collettivo applicabile prevedeva la sanzione espulsiva. Senonché, nel periodo tra la contestazione e il licenziamento, l’impresa aveva adottato un regolamento aziendale le cui norme disciplinari integrative ricollegavano a quei fatti contestati solo una sanzione conservativa.

I giudici di merito hanno accolto l’impugnazione del lavoratore e, in particolare, la Corte di appello ha – con motivazione poi giudicata adeguata – argomentato che il regolamento aziendale, datato giugno, fosse già in vigore quando era stato irrogato il licenziamento, e ha quindi fatto discendere da tale premessa l’inapplicabilità, ratione temporis, della più grave sanzione disciplinare prevista all’epoca dei fatti contestati.

A nulla sono valse le censure formulate dall’azienda innanzi alla Corte di cassazione, volte a contestare l’applicabilità “retroattiva” del regolamento aziendale.

La Cassazione, con la sentenza 4120/2017, ha infatti argomentato che non si tratta di applicare retroattivamente le disposizioni del regolamento, ma semplicemente di applicare la normativa in vigore al momento dell’irrogazione della sanzione. Al fine di individuare il regime sostanziale sanzionatorio applicabile «occorre fare riferimento al momento di perfezionamento della fattispecie del licenziamento». Invero, continua la Corte, le sanzioni disciplinari non possono essere definite una pena, «essendo pur sempre di natura civile; talché non opera il principio di irretroattività sancito dall’articolo 25, secondo comma, della Costituzione che prescrive che nessuno può essere punito se non in forza di una legge entrata in vigore prima del fatto commesso». Tali considerazioni hanno portato quindi la Corte a concludere come «debba essere riconosciuta l’applicabilità della sanzione disciplinare vigente al tempo in cui è stato intimato il licenziamento, anche se la condotta sanzionabile è stata posta in essere in epoca anteriore».

La sentenza ha senz’altro carattere innovativo, se solo si considera che solo qualche tempo fa (sentenza 54/2017) la Corte ha ribadito il proprio orientamento secondo il quale, quando le violazioni contestate non consistono in condotte contrarie ai doveri fondamentali del lavoratore rientranti nel cosiddetto minimo etico o di rilevanza penale, ma si risolvono in violazioni di norme derivanti da direttive aziendali suscettibili di mutare nel tempo, perché possano avere valenza disciplinare esse debbono preventivamente essere poste a conoscenza dei lavoratori, secondo le prescrizioni dell’articolo 7 dello statuto dei lavoratori.

Occorrerà, a questo punto, attendere future pronunce per capire se il principio possa dirsi valido anche se la norma in vigore al momento della applicazione della sanzione sia più sfavorevole rispetto a quella vigente al momento della contestazione, nonché per poter leggere una riflessione più approfondita sull’annoso tema della pubblicità del codice disciplinare, che la giurisprudenza formalisticamente continua a considerare valida soltanto se effettuata mediante la ormai antiquata affissione in bacheca, non ritenendo ad essa equipollente altre forme di pubblicità quali la circolazione a mezzo mail o su intranet aziendale.

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