Contenzioso

Esercizio abusivo della professione, risarcito anche l’Ordine dei consulenti del lavoro

di Mauro Pizzin

La titolare di un centro di elaborazione dati che per accreditarsi aveva dichiarato di essere in possesso del titolo di consulente del lavoro, oltre ad essere stata condannata in primo grado per esercizio abusivo della professione, dovrà pure risarcire il consiglio provinciale dell'Ordine dei consulenti del lavoro di Pesaro-Urbino, costituitosi parte civile nel procedimento.

La decisione del Tribunale penale di Pesaro, presa con sentenza depositata il 14 marzo 2017, è stata approfondita dalla Fondazione studi dei consulenti del lavoro nel parere 4/17 di ieri. Nel documento - oltre ad evidenziare come nel caso sottoposto al giudice marchigiano la condanna per il reato di esercizio abusivo della professione in base all'articolo 348 del codice penale sia frutto di un orientamento ormai consolidato della Cassazione - si sottolinea l'interessante aspetto dell'accoglimento dell'istanza risarcitoria presentata dal Consiglio provinciale dei professionisti.

La Fondazione studi, sul punto, ha ricordato che l'accoglimento della domanda si fonda su princìpi secondo cui il danno risarcibile all'Ordine non è solo quello economico-patrimoniale causato dalla concorrenza sleale subita dai professionisti iscritti, ma anche quello non patrimoniale derivante dall'interesse, facente capo al Consiglio dell'Ordine, che la professione di consulente del lavoro sia esercitata da soggetti muniti dei requisiti normativi richiesti per l'esercizio della professione e che dal mancato rispetto di tali fondamentali regole possano derivare ricadute pregiudizievoli per i professionisti legittimamente abilitati all'esercizio.

Da ciò il diritto al risarcimento, ritenuto ammissibile quando non abbia come unico fondamento l'asserita lesione degli interessi morali della categoria ma anche il pregiudizio di carattere patrimoniale che, sia pure indirettamente, sia derivato ai professionisti regolarmente iscritti dalla concorrenza sleale posta in essere in un determinato contesto territoriale dall'autore del fatto (si veda la Cass. pen., Sez. IV, 3 giugno 2008, n. 22144).

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