Contenzioso

Per il repêchage non va esclusa alcuna possibilità

di Massimiliano Biolchini e Serena Fantinelli

La Corte di appello di Roma, con la sentenza 823 del 14 febbraio, è intervenuta in una contorta e per certi versi paradossale fattispecie relativa a un caso di licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo e regolato dalla legge Fornero, stabilendo che l’obbligo di repêchage va adempiuto secondo correttezza e buona fede, confermando l’indirizzo prevalente per cui, in caso di sua violazione, non ricorre quella manifesta insussistenza del motivo addotto che può comportare l’ordine di reintegra. Tuttavia la mancanza degli estremi del giustificato motivo dà comunque diritto all’indennità risarcitoria.

Nel caso specifico, uno chef, dipendente della società che gestiva l’appalto del Senato per bar e ristorante dei senatori, era stato dapprima collocato in cassa integrazione quando il ristorante era stato chiuso, poi distaccato presso altri impianti e, quando il ristorante era stato riaperto, aveva iniziato una trattativa per una ricollocazione adeguata che, però, era sfociata nel licenziamento.

Lo chef, in particolare, ha lamentato che, dopo la riapertura del ristorante, la società gli ha proposto la ricollocazione in mansioni molto dequalificanti, o temporanee, o molto lontane dalla sua residenza sino a quando, nel febbraio 2014, gli ha finalmente sottoposto una offerta apparentemente «meno inadeguata» delle altre, dandogli un termine per accettare. Malgrado il lavoratore abbia, entro tale termine, chiesto un incontro per discuterne, la società non ha proseguito con l’offerta, lo ha licenziato e ha assegnato il posto a un altro.

La Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza del tribunale, sul principio che, essendo stato il posto effettivamente soppresso e la crisi dimostrata, non ricorreva la manifesta insussistenza del motivo , che si verifica quando la ragione organizzativa addotta manca del tutto oppure, pur presente, non ha un nesso causale con il recesso, ma risulta soltanto violato l’obbligo di repêchage.

In particolare, secondo la Corte, il lavoratore ha dimostrato l’esistenza di un posto cui essere adibito (quello di cui all’offerta poi non confermata), e tanto basta a soddisfare l’onere della prova, e ha legittimamente rifiutato le ventitré altre proposte, perché si trattava di mansioni inferiori. Inoltre, circostanza fondamentale, poiché «proprio in osservanza dei principi di correttezza e di buona fede la società, pur al cospetto dell’immediata disponibilità manifestata da altro dipendente, avrebbe dovuto prima coltivare la possibilità di offrire quel posto allo (chef) in quanto all’evidenza il più esposto (rispetto a tutti gli altri dipendenti messi in comparazione) al rischio dell’impossibilità di altra adeguata ricollocazione», del tutto inspiegabile va considerato il rifiuto dell’azienda di incontrare lo chef per discutere della proposta, tanto più che la richiesta del dipendente non poteva considerarsi dilatoria.

Pertanto, poiché la società non ha dato corso alla richiesta e ha assegnato il posto ad altro dipendente, la successiva impossibilità di ricollocare altrimenti il lavoratore va imputata solo alla stessa, con il conseguente diritto del lavoratore all’indennità risarcitoria.

La sentenza della Corte d'Appello di Roma

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