Contenzioso

Termine di opposizione a cartella di pagamento e sospensione della riscossione

di Silvano Imbriaci

Ancora una volta la Sezione Lavoro della Cassazione con la sentenza dell’11 maggio 2017, n. 11560, torna sul tema, ormai noto, della perentorietà del termine per la proposizione del ricorso giudiziario in opposizione a cartella di pagamento (o avviso di addebito per le entrate Inps) emessa per il recupero di crediti previdenziali. La sentenza, tuttavia, merita comunque una segnalazione in quanto, pur affermando la natura perentoria del termine di 40 giorni previsto dall'art. 24 del dlgs n. 46/1999 (applicabile anche all'avviso di addebito che, dal 1° gennaio 2011, ha sostituito la cartella di pagamento per i crediti di natura previdenziale dell'Inps ex articolo 30 del dl n. 78 del 2010, conv. con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010), affronta in modo piano e sistematico la questione dei rapporti tra il decorso del termine e la sospensione delle attività di riscossione dei crediti contenuti nel titolo portato a conoscenza del contribuente. La vicenda nasce da una comunicazione inviata al ricorrente, secondo la sua narrazione dei fatti, nella quale l'Istituto avrebbe acconsentito alla sospensione dell'esecuzione per permettere la presentazione di un'istanza di dilazione di pagamento, valutando nel contempo l'effettiva sussistenza del credito. Alla Cassazione è chiesto dunque di valutare se tale atteggiamento dell'Istituto, in qualche modo, possa incidere in senso positivo sul presupposto dell'opposizione, in una sorta di sospensione necessitata sia della procedura di riscossione che del termine per l'opposizione previsto dall'articolo 24 cit., in presenza dell'intenzione manifestata dall'Istituto di non voler procedere al recupero, in attesa della verifica del credito e dell'eventuale proposizione dell'istanza di dilazione. Tale argomentazione, sia pure suggestiva, non convince però la Sezione Lavoro; in tema di iscrizione a ruolo dei crediti contributivi il termine per la proposizione dell'opposizione per motivi di merito (art. 24, comma 5 del dlgs n. 46/1999) è previsto a pena di decadenza e dunque è impermeabile rispetto alle vicende che riguardano la sospensione della riscossione, come quella disposta, ad esempio, ai sensi dell'articolo 25, comma 2, dello stesso decreto legislativo. Tale ultima norma, che consentiva la sospensione della riscossione in fase amministrativa, e in pendenza di ricorso amministrativo, è stata tra l'altro abrogata proprio dalla norma che ha introdotto l'avviso di addebito per le entrate Inps (articolo 30, comma 10 del dl n. 78 del 2010 cit.). In ogni caso, un eventuale provvedimento di sospensione incide solo sulla riscossione del credito e sugli effetti esecutivi successivi alla formazione del ruolo, e non ha alcun effetto sulla perentorietà del termine per impugnare. Ciò si desume anche dall'esame dei principi generali civilistici in merito alla natura del termine decadenziale, dal momento che, ai sensi dell'articolo 2964 del Codice civile, la decadenza può essere oggetto non di interruzione o sospensione, quanto di semplice impedimento degli effetti a fronte dell'esercizio del diritto con l'atto tipico richiesto per la determinazione di tale effetto impeditivo. Dunque non ha alcun rilievo neanche il motivo che ha indotto l'ente a sospendere la riscossione, in quanto l'eventuale esigenza per l'ente di verificare l'importo del credito, dando spazio anche per la presentazione di istanza di dilazione, non comporta in alcun modo il venir meno della pretesa sostanziale, alla quale l'ente previdenziale non ha affatto rinunciato (non vi è alcun provvedimento di sgravio, neanche preannunciato). La perentorietà del termine per l'impugnazione è dunque pacifica e non rileva neppure l'assenza di un avvertimento in tal senso contenuto nell'atto impositivo, circostanza idonea in astratto a trarre in inganno il contribuente circa gli effetti su tale termine di una eventuale sospensione della riscossione (ciò determinando la possibilità di una impugnazione proponibile anche tardivamente, come pacificamente ammesso nel caso di decreto ingiuntivo). Occorre però rilevare che la giurisprudenza, di recente, anche nella autorevole veste delle Sezioni Unite (cfr. Cass. Sez. Unite, 17 novembre 2016, n. 23397), ha ribadito che il termine in questione è perentorio e che l'eventuale inosservanza di questo rende il titolo inoppugnabile (incontrovertibile), precisando tuttavia che, sul piano sostanziale, tale “definitività” non ha la stessa forza del decreto ingiuntivo opposto quanto ai termini prescrizionali applicabili, trattandosi di titolo di formazione amministrativa e non giudiziale (con l'applicazione, quindi, del termine prescrizionale ordinario previsto per la contribuzione previdenziale e non della prescrizione decennale di cui all'art. 2953 del Codice civile). Il termine di 40 giorni per l'opposizione riguardante motivi di merito (ridotto a 20 giorni per le questioni che riguardano esclusivamente i profili formali del titolo, in analogia a quanto disposto dall'art. 617 Codice di procedura civile), oltre alla possibilità di ottenere la sospensione del titolo in limine litis, costituisce sufficiente strumento di tutela del contribuente, a fronte di un titolo del quale il legislatore consente la formazione in via amministrativa, senza l'intervento giudiziale, attesa la natura e la rilevanza pubblicistica dell'obbligazione ivi contenuta (cfr. Corte costituzionale, ord. n. 111/2007)

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