Contenzioso

Ritenute fiscali, condanne da revocare

di Giovanni Negri

Da revocare tutti i decreti penali di condanna per o messo versamento di ritenute certificate . Nei procedimenti in corso e anche quando la sanzione è definitiva. La Corte di cassazione mette nero su bianco, con la sentenza 34362 depositata ieri, le conseguenze dell’intervento legislativo del 2015, con il Dlgs 158. L’innalzamento delle soglie di rilevanza penale da 50mila a 150mila euro ha determinato infatti «l’abolizione parziale del reato commesso in epoca antecedente che aveva ad oggetto somme pari o inferiori a detto importo».

Le conseguenze? Nel caso esaminato la revoca del decreto penale di condanna alla pena di 15mila euro di multa per il reato previsto dall’articolo 10 bis del decreto legislativo n. 74 del 2000. Effetto che naturalmente potrà essere esteso a tutti i procedimenti penali in corso per il medesimo reato. Ma che, nello stesso tempo, rendendo applicabile l’articolo 673 del Codice procedura penale, apre la strada anche alla revoca delle condanne definitive da parte del giudice dell’esecuzione, al quale dovrebbe essere presentata istanza per il relativo incidente.

Al centro della riflessione della Corte un tema “classico”: la successione di leggi penali nel tempo. I precedenti della stessa Cassazione si erano divise tra un indirizzo prevalente, ricordato dal tribunale che aveva confermato il decreto di condanna respingendo la richiesta di revoca, che valorizzava la formula di assoluzione «perché il fatto non sussiste» e un’altra linea, minoritaria, che invece ha sostenuto la formula di proscioglimento «perchè il fatto non è più previsto come reato».

Ora la Cassazione dichiara, a prescindere dalle diverse formule assolutorie, di volere arrivare a una conclusione sull’applicazione dell’articolo 673, comma 1, del Codice penale in materia di revoca della sentenza per abolizione del reato.

La sentenza sottolinea come, nel caso in questione, si sia in presenza di un’abolizione parziale del reato, visto che tra le due fattispecie esiste un rapporto di specialità per cui la norma sopravvenuta esclude a rilevanza penale di quelle “sottofattispecie” che non sono più comprese in essa. Tradotto nel caso affrontato dalla Cassazione, la modifica di un elemento costitutivo del reato come la soglia di punibilità, rende la nuova fattispecie speciale rispetto alla precedente perchè ne restringe l’ambito applicativo. «Viene dunque esclusa - puntualizza la Corte - la penale rilevanza di una o più sottofattispecie astratta (nel caso in esame gli omessi versamenti di importi compresi tra 50.000 euro e la nuova soglia di punibilità)».

In questa prospettiva, la Cassazione valorizza il nucleo dell’articolo 2 comma 2 del Codice penale: il fatto che nessuno possa essere punito per un fatto che secondo la legge successiva non costituisce più reato equivale ad affermare il principio fondamentale per cui la pena non è inflitta per una semplice trasgressione alla norma, ma per la lesione o la messa in pericolo di un bene ritenuto meritevole di protezione dall’ordinamento. Quando il giudizio cambia, allora a risentirne è la disciplina penale di quelle condotte che di quel bene erano state ritenute lesive.

E allora la legge delega sulla revisione del sistema tributario penale, aveva previsto espressamente la possibilità di ridurre le sanzioni per le fattispecie ritenute meno gravi o di applicare sanzioni amminstrative al posto di quelle penali, tenendo conto anche di adeguate soglie di punibilità. In esecuzione di questo criterio si è mosso allora il legislatore delegato con l’intorduzione di una nuova e più elevata soglia di punibilità dei fatti di omesso versamento di ritenute certificate e di omesso versamento dell’Iva. Soglia al di sotto della quale a scattare sono semmai sanzioni di natura amministrativa.

«Il mutato giudizio di offensività della condotta omissiva - afferma adesso la Cassazione - si è tradotto nel restringimento dell’area della sua penale rilevanza, con assegnazione a quella amministrativa delle condotte che si collocano al di sotto della nuova soglia».

Si è così puntualmente verificata un’ipotesi di abolizione di reato in relazione a tutti i casi inferiori alla nuova soglia. E dunque, conclude la sentenza, la formulazione del proscioglimento non può che essere quella «perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato», più favorevole per chi continua tuttora a essere imputato ma anche per chi è stato condannato definitivamente.

Corte di cassazione, Terza sezione penale, sentenza 13 luglio 2017 n. 34362

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