Contenzioso

Il dipendente senza più abilitazione resta senza stipendio

di Angelo Zambelli

Non ha natura disciplinare il recesso intimato in conseguenza dell’accertata impossibilità sopravvenuta allo svolgimento della prestazione convenuta contrattualmente in virtù di un provvedimento non emesso dal datore di lavoro ed estraneo alla sua sfera di influenza.

Durante la sospensione che precede la decisione datoriale di risolvere il rapporto di lavoro, il dipendente non matura il diritto alla retribuzione .

Questo, in sintesi, quanto stabilito dalla Cassazione con la sentenza 4 luglio 2017 n. 16388, con la quale è stato rigettato il ricorso proposto da un ex dipendente di una compagnia aerea licenziato per essere rimasto privo, per effetto di un provvedimento della polizia giudiziaria, del “tesserino aeroportuale” necessario per lo svolgimento delle mansioni per le quali era stato assunto.

A seguito del ritiro del tesserino, avvenuto nel gennaio 2008, la società datrice di lavoro aveva immediatamente sospeso il lavoratore senza diritto alla retribuzione, per poi terminare il rapporto nell’ottobre dell’anno successivo per giustificato motivo oggettivo «in ragione della sopravvenuta impossibilità della prestazione e non potendo ricollocare il lavoratore in mansioni equivalenti».

Il licenziamento veniva ritenuto legittimo dalla Corte di appello, secondo la quale «dopo un anno dal ritiro del tesserino il mancato interesse alla prosecuzione del rapporto era conforme ai parametri di cui all’articolo 3 della legge n. 604 del 1966», che legittima il licenziamento a fronte di obiettive ragioni «inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa».

Ed anche il mancato pagamento delle retribuzioni nel periodo di sospensione veniva ritenuto corretto dalla Corte territoriale, che osservava come la fattispecie in esame si differenziasse dalle speciali ipotesi di impossibilità temporanea in cui la legge fa salvo il diritto del lavoratore alla retribuzione pur in assenza di prestazione lavorativa (come avviene nei casi ex articolo 2110 del Codice civile, di malattia, infortunio, gravidanza e puerperio), e pertanto doveva ritenersi legittima la sospensione dell’obbligazione retributiva nei confronti del dipendente impossibilitato a lavorare.

Investita della questione, la Corte di legittimità conferma la decisione di merito richiamando il principio secondo cui nel contratto di lavoro, come di regola nei contratti a prestazioni corrispettive, «ciascuna parte può valersi dell’eccezione di inadempimento prevista dall’articolo 1460 del Codice civile, dovendosi escludere che alla inadempienza del lavoratore il datore di lavoro possa reagire solo con sanzioni disciplinari o, al limite, con il licenziamento, oppure col rifiuto di ricevere la prestazione parziale e con la richiesta di risarcimento» (Cassazione n. 17353 del 2012).

La conseguenza è quindi che, al di fuori delle particolari ipotesi tutelate dalla legge, anche nel rapporto di lavoro vige la regola generale per cui in assenza di prestazione il datore di lavoro non è tenuto al pagamento delle retribuzioni che, nel sinallagma sotteso, sono pur sempre il corrispettivo previsto per la collaborazione effettivamente prestata.

La sentenza n. 16388/17 della Corte di cassazione

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©