Contenzioso

Sicurezza, i trascorsi lavorativi del dipendente non esonerano dalla formazione

di Luigi Caiazza


Tutti gli adempimenti finalizzati ai vari obblighi antinfortunistici, sono di per sé inderogabili. Essi vanno sempre osservati , in modo puntuale, in relazione allo specifico ambiente di lavoro, nei confronti di qualsiasi lavoratore. Pertanto, il datore di lavoro non può auto esonerarsi da tali obblighi sulla base dei trascorsi lavorativi e familiari del lavoratore o perché già “sappia fare”.
E', questo, uno degli interessanti principi contenuti nella sentenza n. 19709/17 della Corte di cassazione, Sez. Lavoro, depositata lo scorso martedì 8 agosto a seguito del ricorso prodotto dall'Inail contro la sentenza della Corte d'appello cagliaritana, che a sua volta aveva accolto l'appello di un datore di lavoro nei confronti della sentenza del Tribunale di Nuoro con la quale era stato condannato alla restituzione all'istituto assicurativo di quanto da quest'ultimo versato ad una lavoratrice in conseguenza di un infortunio sul lavoro.
Il fatto si riferiva alle lesioni subite da quest'ultima, nel primo giorno di lavoro, allorché aveva impulsivamente recuperato una spatola che stava utilizzando e che era caduta nella impastatrice del torrone, rimanendovi impigliata con le mani fino allo spegnimento della macchina da parte di colleghi di lavoro.
La Corte territoriale, nell'accogliere l'appello, affermava che la percentuale di invalidità, pari al 17%, non fosse ostativa al reperimento da parte della lavoratrice di altra occupazione e che l'Inail non avesse dato prova, per l'azione di regresso, dell'esistenza sul piano civilistico di alcun danno patrimoniale.
Dello stesso avviso non è stata però la Cassazione che, nell'accogliere tale parte del ricorso, ha avuto modo di soffermarsi sulla corretta applicazione dell'indennizzo da danno biologico , come introdotto dal Dlgs 38/ 2000 e dal Dm 12 luglio 2000, rispetto alla regola precedente secondo la quale era erogabile soltanto una rendita per inabilità permanente commisurata all'attitudine al lavoro e solo in caso di raggiungimento della soglia minima dell'11% di menomazione.
Pertanto, per gli infortuni sul lavoro rientranti nella nuova disciplina che danno luogo ad una menomazione superiore al 16%, l'Inail deve erogare una doppia rendita commisurata sia al danno biologico, valutato secondo un'apposita tabella, sia alle conseguenzepatrimoniali dell'infortunio, tenendo conto del grado della menomazione, della retribuzione dell'assicurato e della “tabella dei coefficienti”, in applicazione della quale sarà tenuto conto dell'attività lavorativa dell'assicurato e della sua ricollocabilità.
Con un controricorso articolato in tre motivi, il datore di lavoro sosteneva che:
- la parte della macchina che ha causato l'infortunio non poteva essere segregata, né esisteva sul mercato una macchina simile;
- la lavoratrice non era stata addestrata perché già esperta in quanto suo padre era un ambulante venditore di torroni;
- la condotta della lavoratrice, che aveva infilato la mano nella macchina in movimento, era da considerarsi abnorme.
La Cassazione, nel respingere i tre motivi, enunciava il principio riportato in premessa sulla inderogabilità delle norme in materia di sicurezza sul lavoro aggiungendo in proposito che il comportamento del datore di lavoro non era giustificabile in ogni modo avendo preferito utilizzare una macchina vecchia e pericolosa soltanto perché quella di più recente concezione, di cui era pure dotato, non consentiva di mantenere immutate le caratteristiche del prodotto artigianale.
Tale pretesa contrasta con l'articolo 2087 del Codice civile, il quale non consente al datore di lavoro, qualora esiste sul mercato un sistema di lavorazione atto a proteggere più efficacemente il lavoratore, di abbassare il livello di protezione, mantenendo in uso sistemi obsoleti, posto che secondo l'articolo 41 della Costituzione il diritto alla salute è preminente rispetto all'esigenza di tipo prettamente economico.
In merito al reclamato comportamento abnorme della lavoratrice la Corte ha ritenuto infine che, pur imprudente, non esorbitava completamente dalle sue attribuzioni, utilizzando peraltro strumenti di lavoro ai quali era addetta ma che, in ogni caso, l'osservanza delle misure di prevenzione sono finalizzate anche a prevenire errori e violazioni da parte del lavoratore.

La sentenza n. 19709/17 della Corte di cassazione

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