Contenzioso

Lavoro subordinato anche se non c’è continuità giornaliera

di Giuseppe Bulgarini d'Elci

La presenza di continuità nello svolgimento della prestazione lavorativa non costituisce requisito indispensabile al fine di riconoscere la natura subordinata del rapporto di lavoro, sviluppatosi tra le parti in assenza di formale regolamentazione contrattuale. Precisa la Corte di cassazione (sentenza 23056/2017) che la fattispecie di subordinazione prevista dall'articolo 2094 del codice civile non richiede necessariamente una continuità giornaliera nell'esercizio dell'attività lavorativa, essendo compatibile con la natura dipendente del rapporto anche una prestazione cadenzata con tempi alternati o con articolazione della prestazione giornaliera diversa da quella ordinaria a tempo pieno.

A fronte di una domanda promossa dal lavoratore volta a far accertare la natura dipendente del rapporto di lavoro non vale, quindi, ad escludere la subordinazione la circostanza che non sia stata data la dimostrazione di una continuità giornaliera della prestazione lavorativa, in quanto le parti possono concordare, anche per fatti concludenti, una modalità saltuaria e non continuativa di svolgimento dell'attività.

A sostegno di questa tesi, la Cassazione evidenzia che, nell'ambito di un rapporto di lavoro subordinato, la prestazione non si articola necessariamente attraverso un'attività a tempo pieno, ma può passare attraverso un regime orario part time o svilupparsi secondo lo schema del lavoro a chiamata, nel quale le prestazioni sono rese secondo la disponibilità del lavoratore e del datore di lavoro. Alla luce di queste considerazioni, conclude la Corte che è, pertanto, da respingere la tesi per cui la mera discontinuità nell'esercizio delle prestazioni escluda in radice la possibilità che il rapporto di lavoro si sviluppi secondo i canoni della subordinazione.

Il caso sottoposto alla Cassazione era relativo alla domanda di una lavoratrice volta al riconoscimento della natura subordinata delle prestazioni svolte come cameriera ai piani di una struttura alberghiera in una fase precedente alla formale successiva assunzione. Il tribunale di Roma aveva accolto la domanda della dipendente affidandosi, tra l'altro, alle deposizioni di altre due cameriere ai piani, le quali avevano confermato che in due diversi periodi esse avevano lavorato come cameriere insieme alla ricorrente.

Di diverso avviso è stata la Corte d'appello, la quale ha valorizzato la circostanza che le due testimonianze coprivano un periodo temporalmente limitato rispetto al più ampio intervallo temporale con riferimento al quale era stata invocata l'esistenza di una prestazione subordinata. Concludeva la Corte territoriale che, in questo modo, mancava la prova della continuità della prestazione, con ciò risultando impedita la riconducibilità del rapporto nell'ambito della subordinazione.

La Cassazione rigetta questa lettura e conferma, invece, che l'elemento della continuità della prestazione non è indispensabile per qualificare il rapporto di lavoro come subordinato, in quanto le parti possono concordare, anche con comportamenti di fatto concludenti, una modalità di svolgimento del rapporto con tempi alternati e articolati in misura ridotta.

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