Contenzioso

Spetta al lavoratore evitare una doppia ritenuta sulle prestazioni erogate dal Fondo di garanzia Inps in caso di fallimento

di Silvano Imbriaci

In quali forme il Fondo di garanzia Inps, che agisce quale sostituto d'imposta nella liquidazione delle somme spettanti al lavoratore a titolo di retribuzione e Tfr non riscossi, opera le trattenute di legge all'atto della liquidazione delle stesse al lavoratore? L'Inps deve procedere alla trattenuta di legge su somme che risultano già ammesse allo stato passivo al netto delle ritenute fiscali?

A queste domande intende dare una risposta la sentenza 25016/2017 della sezione Lavoro della Cassazione risolvendo la questione in concreto e soffermandosi in particolare sui rapporti tra accertamento del credito retributivo in sede concorsuale e intervento del Fondo di garanzia (legge 297/1982 e Dlgs 80/1992). L'Inps, nel momento in cui eroga le prestazioni a carico del Fondo a favore del lavoratore (prestazioni che hanno natura previdenziale - Cassazione 9017/2016), opera le trattenute di legge in qualità di sostituto d'imposta.

Il problema si pone nel momento in cui sia ammesso al passivo del fallimento del datore di lavoro il credito del lavoratore già decurtato della trattenuta di legge. Posto che la determinazione dell'importo oggetto della garanzia, nel caso di fallimento del datore di lavoro, è sostanzialmente rimessa all'accertamento del passivo, collegandosi l'oggetto dell'obbligo dell'Inps alla misura dei crediti retributivi valutati e ammessi dagli organi della procedura, in via di principio l'avvenuta ammissione del credito retributivo allo stato passivo costituisce elemento sufficiente a sorreggere la pretesa di pagamento nei confronti dell'Inps, che non ha alcuna possibilità di mettere in discussione l'accertamento (divenuto definitivo) in quanto subentra nel debito del datore di lavoro insolvente (si veda Cassazione 24231/2014).

Nelle situazioni fisiologiche, dunque, il curatore fallimentare è tenuto a operare la ritenuta di legge sulle somme a titolo retributivo ammesse al passivo (articolo 23 del Dpr 600/1973), operando come sostituto d'imposta, cosicché le somme che verranno effettivamente liquidate ai creditori saranno al netto, rispetto alla misura lorda chiesta in sede di ammissione (le spettanze del lavoratore maturano sempre al lordo). Ove la procedura sia insolvente, subentra l'Inps, anche nella qualità di sostituto d'imposta, e in questa veste, in base all'importo lordo ammesso al passivo, opera la trattenuta di legge e versa al lavoratore la somma netta dovuta.

L'evidenza di tale regola entra in crisi nel momento in cui al passivo del fallimento (per motivi che al momento non interessano, ma che comunque non sono imputabili all'Inps) venga chiesta l'ammissione della somma già al netto delle trattenute di legge. In questo caso, ove non vi sia soddisfazione da parte della procedura, il lavoratore si rivolgerà all'Inps per il pagamento di una somma per la quale sarà già stata effettuata la trattenuta.

Occorre dunque verificare se l'ente previdenziale, anche in questo caso, sia tenuto a operare la trattenuta (sulla somma netta), oppure se debba corrispondere al lavoratore la somma già richiesta al netto, senza ulteriori decurtazioni. La tesi (evidentemente sostenuta dall'Inps) che impone comunque all'istituto di operare la trattenuta, muove dalla considerazione della natura autonoma della prestazione a carico dell'Inps stesso. È specifico onere del lavoratore di chiedere l'ammissione del credito al lordo delle trattenute (così come del curatore quello di effettuare le trattenute di legge) e pertanto la somma che viene ammessa allo stato passivo deve essere oggetto di ritenute, quando non sia liquidata dalla procedura stessa.

La “doppia decurtazione” a carico del lavoratore costituirà una conseguenza della mancata lordizzazione delle somme nella fase iniziale della richiesta, momento del quale l'Inps non ha alcuna possibilità di controllo. Secondo questa opzione interpretativa, la ritenuta applicabile dall'ente previdenziale deve essere pari a quella che il curatore opererebbe in sede di riparto, laddove dovesse provvedere a soddisfare il credito e ciò in quanto deve esserci corrispondenza tra crediti ammessi al passivo e somme liquidate dal Fondo di garanzia. Ne deriva che le somme erroneamente ammesse al passivo al netto delle ritenute saranno nuovamente soggette a ritenuta verso l'erario in occasione della liquidazione da parte del Fondo di garanzia presso l'Inps. Sarà onere dei lavoratori proporre eventuale opposizione allo stato passivo onde ottenere la lordizzazione delle somme stesse.

La soluzione adottata dalla Cassazione sembra seguire tale principio, ma con una sfumatura diversa. Occorre, infatti, evitare che il lavoratore subisca una doppia decurtazione: pur affermando che l'Inps deve operare in qualità di sostituto d'imposta, la Cassazione rileva la sussistenza di tale obbligo solo nel caso in cui le trattenute non siano già state operate in sede di ammissione al passivo. Ciò a dire che l'Inps in linea di massima non potrà operare una seconda trattenuta che incida una seconda volta sull'importo da erogare; tuttavia, allo stesso tempo, sussiste un duplice onere a carico del lavoratore, se vuole evitare un'ulteriore decurtazione della somma netta:
a) un onere di informazione, in quanto egli dovrà dichiarare preventivamente di aver insinuato gli importi al fallimento in misura netta e non lorda;
b) un onere di allegazione e di dimostrazione, in quanto dovrà provare che le trattenute sono già state effettuate (in tal caso l'Inps sarà dispensato dal dover procedere alle ritenute stesse) e che quindi una duplice trattenuta di natura fiscale costituirebbe comportamento illegittimo (si veda Cassazione 22516/2013).

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©