Contenzioso

La norma sui compensi dell’Avvocatura all’esame della Corte costituzionale

di Silvano Imbriaci

La disciplina dei compensi professionali dell'Avvocatura di Stato e delle Avvocature degli enti pubblici è stata oggetto di una specifica regolamentazione ad opera dell'articolo 9 del Dl n. 90/2014 (conv. con modifiche dalla legge n. 114/2014), norma finalizzata chiaramente a recuperare margini di risparmio di spesa mediante l'apposizione di precisi limiti di carattere generale ed individuale agli importi erogabili a titolo di compensi professionali, per le sentenze favorevoli all'amministrazione. Nell'ambito della complessa ed articolata disciplina contenuta nell'articolo 9, agli Avvocati dello Stato è riservata solo una quota (50%) dei compensi professionali riscossi per effetto di sentenze favorevoli all'amministrazione con espressa condanna delle controparti soccombenti (comma IV), mentre nulla a loro favore è previsto con riferimento alle somme erogabili dall'amministrazione per le sentenze favorevoli nelle quali vi sia stata compensazione delle spese di lite.

La norma è stata oggetto di numerosi giudizi di legittimità costituzionale, promossi da alcuni Tar soprattutto in relazione al fatto che sarebbe stata introdotta una disciplina strutturale radicalmente innovativa del trattamento economico spettante agli Avvocati dello Stato con lo strumento del decreto-legge, senza i necessari presupposti di necessità e di urgenza e con un'evidente difformità e assenza di collegamento tra l'indicazione delle circostanze straordinarie nel preambolo del decreto e il contenuto effettivo della disposizione in esame (nonostante la norma contenuta nel decreto legge sia stata poi oggetto di completa riscrittura in sede di conversione). In alcuni casi le doglianze hanno investito anche il profilo della ingiustificata disparità di trattamento riservata alle Avvocature dello Stato, rispetto alle altre Avvocature degli enti pubblici, in ordine all'esclusione - espressa- di qualsiasi compenso nel caso di sentenze favorevoli con la disposta compensazione delle spese di lite (laddove le altre avvocature, per questo tipo di somme, subiscono le limitazione del trattamento economico complessivo e dello stanziamento di bilancio 2013). Tale disparità, secondo i remittenti, non sarebbe giustificata dalla sostanziale differenza nella parte fissa della retribuzione che solo per gli Avvocati dello Stato è equiparata a quella dei magistrati (circostanza che non si ritrova nella disciplina degli altri avvocati incardinati negli enti).

La Corte costituzionale, sentenza 10 novembre 2017, n. 236, nell'affrontare le varie questioni, rileva preliminarmente che l'articolo 9 cit. regolamenta la parte variabile della retribuzione, dipendente dalla sorte del contenzioso, in ragione dell'attività difensiva svolta in giudizio. In ordine, poi, alla presunta inidoneità dello strumento decreto legge, la sentenza ritiene non sussistere estraneità tra le disposizioni in esame rispetto al decreto legge che le contiene. Infatti l'articolo 9 si inserisce nell'ambito delle politiche di revisione della spesa pubblica per il personale delle amministrazioni, tanto è vero che, oltre all'apposizione di limiti ai compensi variamente articolati, la disciplina regolamentare e/o contrattuale di dettaglio dovrà preoccuparsi di ripartire tali somme con criteri meritocratici (in base al rendimento individuale, per usare le parole del legislatore) che tengano conto anche della puntualità negli adempimenti processuali (cfr. articolo 9, comma 5): siamo indubbiamente nell'area del buon andamento e dell'economicità dell'azione amministrativa. Peraltro, secondo la Corte, le misure contenute nell'articolo 9 cit. non hanno rilievo strutturale, in quanto non incidono sulla parte fissa della retribuzione (stipendio tabellare), che invece costituisce il nucleo del relativo trattamento retributivo (pur nella sostanziale differenza tra Avvocati dello Stato e altri avvocati). Quanto al differente trattamento riservato alle Avvocature dello Stato, la sentenza della Corte ne giustifica il fondamento sulla base della differente fonte che regolamenta il rapporto di lavoro: gli avvocati dello Stato sono infatti sottratti al regime della privatizzazione che ha interessato i rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni e quindi godono di una peculiarità ordinamentale che giustifica la differenza con gli altri avvocati dipendenti degli enti. In definitiva, la normativa oggetto di censura non può definirsi tributaria in senso discriminatorio, in quanto non colpisce situazioni già cristallizzate ma riguarda titoli o transazioni successive all'entrata in vigore del regolamento; e allo stesso modo non può assumere efficacia retroattiva, in quanto si tratta di norme destinate a disciplinare situazioni non ancora compiutamente definite all'interno del rapporto lavorativo tra amministrazione e dipendente.

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