Contenzioso

Trasferimento rifiutabile solo con l’ok del giudice

di Massimiliano Biolchini e Lorenzo Zanotti

La Corte di cassazione, con la sentenza 28791/2017, torna a pronunciarsi in tema di trasferimento individuale dei lavoratori.

Lo fa ribadendo due importanti principi. In primo luogo, quello per cui il vaglio giurisdizionale circa la sussistenza delle comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive del trasferimento deve limitarsi ad accertare la congruenza tra il provvedimento adottato dal datore di lavoro e le finalità tipiche dell'impresa, non potendo investire il merito della scelta operata dall'imprenditore. Quest'ultima, infatti, deve considerarsi legittima non solo laddove presenti i caratteri dell'inevitabilità, ma anche quando concreti una delle possibili scelte, tutte ragionevoli, che il datore di lavoro avrebbe potuto adottare sul piano tecnico, organizzativo e produttivo.

In secondo luogo, rammenta la Suprema corte come il lavoratore, pur in presenza di un trasferimento che lo stesso ritenga (a ragione o a torto) illegittimo, non possa “farsi giustizia da sé”, decidendo arbitrariamente di non presentarsi al lavoro, ma debba necessariamente ottenere il preventivo avvallo giudiziale (conseguibile anche in via d'urgenza) circa l'effettiva illegittimità del provvedimento datoriale. Questo perché la prestazione lavorativa può essere legittimamente rifiutata - invocando l'eccezione di inadempimento indicato dall'articolo 1460 del codice civile - solamente in presenza di un grave (”totale” secondo la pronuncia in esame) inadempimento dell'altra parte, ovvero laddove risultino minacciati beni di rango primario, quale la tutela della salute del lavoratore.

Con riferimento a quest'ultima ipotesi, la Suprema corte ha infatti riconosciuto la legittimità del rifiuto della prestazione, con mantenimento della normale retribuzione, in presenza di gravi carenze nelle condizioni di sicurezza sul luogo di lavoro (Cassazione 836/2016).

Del tutto differente, sotto questo profilo, è la fattispecie da cui trae origine la sentenza 28791/2017 che ha come oggetto il trasferimento di un lavoratore a seguito della chiusura dell'unità produttiva di appartenenza, circostanza, quest'ultima, pacificamente dimostrata in giudizio. Il dipendente, ritenuto il provvedimento datoriale illegittimo, si era rifiutato di prendere servizio presso la nuova sede, divenendo così oggetto di un provvedimento sanzionatorio espulsivo. La Corte di appello di Potenza ha accolto il ricorso del lavoratore, dichiarando l'illegittimità del trasferimento e del conseguente licenziamento, sul presupposto che il datore di lavoro non avrebbe ottemperato ai propri doveri di buona fede e correttezza nella gestione delle conseguenze derivanti dalla soppressione della predetta unità produttiva.

La Suprema corte ha riformato la pronuncia di merito, aderendo all'ormai consolidato principio giurisprudenziale secondo cui, con riferimento ai trasferimenti individuali, il campo di indagine giudiziale non può espandersi sino al punto di sindacare le scelte organizzative e di opportunità dell'imprenditore. Il giudice di legittimità ha pertanto ritenuto irrilevanti le valutazioni compiute da quest'ultimo in termini, ad esempio, di comparazione tra le diverse posizioni lavorative all'interno delle unità produttive coinvolte e di mancato riscontro alle richieste di delucidazione del dipendente sulle funzioni assegnate presso la nuova sede. Aspetti, questi, evidentemente estranei ai requisiti dettati dall'articolo 2103 del codice civile.

Di maggior rilievo appare, invece, la posizione assunta dalla Cassazione rispetto al rifiuto del lavoratore di assumere servizio nella diversa sede alla quale era stato destinato. Comportamento che non può essere attuato in modo arbitrario, ma solamente a seguito di una pronuncia giudiziale che accerti, anche solo sommariamente, le ragioni del lavoratore. In questo senso, la pronuncia in esame, pur non apparendo isolata, si discosta da altri recenti precedenti di legittimità i quali avevano ritenuto lecita l'eccezione di inadempimento opposta autonomamente dal lavoratore, ogniqualvolta fosse accompagnata dalla seria ed effettiva (anche in termini di praticabilità della soluzione) manifestazione di disponibilità di quest'ultimo a prestare servizio presso la sede originaria (si veda Cassazione 3959/2016).

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