Contenzioso

Scarso rendimento, licenziamento legato alle prestazioni dei colleghi e alla negligenza del lavoratore

di Stefano de Luca Tamajo

La Cassazione ribadisce la praticabilità del licenziamento per scarso rendimento. Tale fattispecie non è oggetto di alcuna disciplina legislativa e, pertanto, sia l'inquadramento giuridico dell'istituto, sia i requisiti di legittimità dello stesso sono interamente frutto dell'elaborazione giurisprudenziale sviluppatasi sul tema.


Con la sentenza n. 26676 del 10 novembre 2017 la Corte di legittimità, pur rilevando immediatamente l'inammissibilità del ricorso per diverse ragioni, avverte l'esigenza di ribadire alcuni importanti principî frutto di tale elaborazione.


In linea con il proprio consolidato orientamento, la Cassazione ribadisce che il licenziamento per scarso rendimento è legittimo in presenza di due requisiti. Deve innanzitutto fondarsi su un elemento di carattere oggettivo, vale a dire l'esistenza di una notevole sproporzione tra gli obiettivi assegnati al lavoratore e i risultati da quest'ultimo conseguiti. Tuttavia, la valutazione di tale aspetto non deve essere effettuata in astratto, bensì utilizzando quale parametro un rendimento concretamente esigibile, che tenga conto del rendimento medio registrato da altri dipendenti in analoghe funzioni.


Inoltre, occorre accertare la sussistenza di un ulteriore presupposto, di carattere soggettivo, vale a dire che la sproporzione tra i risultati attesi e quelli conseguiti sia imputabile al lavoratore, nel senso che la scarsa produttività deve essere frutto di un colpevole e negligente inadempimento degli obblighi contrattuali gravanti sul lavoratore e non sia invece ascrivibile all'organizzazione del lavoro o ad altri fattori.
In caso di contestazione, spetta al datore di lavoro l'onere di dimostrare in giudizio la sussistenza dei requisiti di cui sopra.


Tale impostazione è diretta conseguenza del fatto che il licenziamento per scarso rendimento viene generalmente ricondotto nell'ambito del licenziamento disciplinare per giustificato motivo soggettivo, in quanto ricollegabile ad un inadempimento del lavoratore agli obblighi sullo stesso gravanti in virtù del rapporto di lavoro. Pertanto, in linea e coerentemente con l'impostazione di cui sopra, è necessario che sia chiaramente individuabile una responsabilità in capo al lavoratore.


Non mancano tuttavia alcune pronunce che, a determinate condizioni, riconducono il licenziamento per scarso rendimento nell'ambito del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, non ritenendo quindi necessario l'accertamento di una specifica responsabilità del lavoratore. Ciò si verifica allorché, a prescindere dalla ricorrenza di un inadempimento imputabile, la prestazione di lavoro risulti essere oggettivamente non più di interesse per il datore di lavoro. Sul punto, si segnala una sentenza della Cassazione (la n. 18678/14) che ha ritenuto legittimo il recesso per giustificato motivo oggettivo intimato a carico di un lavoratore, il quale, pur senza superare il periodo di comporto, aveva collezionato numerose assenze per malattia, tutte di breve durata (e tutte, di per sé, perfettamente legittime) ma verificatesi con modalità tali da incidere negativamente sull'attività produttiva e sull'organizzazione del lavoro, integrando, quindi, i presupposti del licenziamento per ragioni oggettive. Ovviamente, anche in questa ipotesi, in caso di contestazione, spetta al datore di lavoro dimostrare la sussistenza di tali presupposti.


La sentenza da ultimo citata si pone in sintonia con un'inedita attenzione della Cassazione al tema della produttività del lavoratore. Con una più recente sentenza (la n. 25192/16) la Corte ha altresì affermato che in caso di licenziamento per ragioni oggettive il criterio della minore produttività possa essere legittimamente utilizzato ai fini della scelta del lavoratore da licenziare tra i vari che svolgono le medesime mansioni.

La sentenza n. 26676/17 della Corte di cassazione

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