Contenzioso

È reato non fornire documenti all’Ispettorato

di Luigi Caiazza


Commette reato l'amministratore di una società che omette di esibire la documentazione richiesta dall'Ispettorato del lavoro e costa cara la dichiarazione di inammissibilità del ricorso in Cassazione.

È quanto stabilito dalla Corte di cassazione con la sentenza 1561/2018, con la quale è stato rigettato il ricorso prodotto a seguito di analoga sentenza di condanna da parte del tribunale di Ravenna.

La disposizione di legge chiamata in causa è disciplinata dall'articolo 4 della legge 628/1962 che, dopo aver individuato i compiti degli ispettori del lavoro ed i relativi obblighi dei datori di lavoro, stabilisce che «coloro, che legalmente richiesti dall'Ispettorato del lavoro di fornire notizie a norma del presente articolo, non le forniscano o le forniscano o le diano scientemente errate od incomplete, sono puniti con l'arresto fino a due mesi o l'ammenda fino a 516 euro».

I fatti di causa si riferiscono a una ispezione effettuata presso una cooperativa di produzione e lavoro a seguito della quale l'ispettore ha fatto richiesta di acquisizione di documentazione inerente alla posizione di un lavoratore il quale lamentava la mancata retribuzione e corresponsione degli assegni per il nucleo familiare.

Il verbale ispettivo è stato consegnato al responsabile del personale che si è impegnato all'inoltro dei documenti entro il termine stabilito dal verbale stesso. Tuttavia il mancato adempimento non è stato rimosso neanche con successivi solleciti mediante posta raccomandata e posta certificata (Pec), il cui indirizzo è stato individuato tramite visura camerale, andata a buon fine.

Sulla scorta di tali fatti la sentenza impugnata, confermata dalla Suprema corte, ha ritenuto che l'omessa risposta alla richiesta di documenti o notizie integra il reato in questione anche quando la richiesta stessa non sia rivolta al datore di lavoro personalmente, in quanto è sufficiente che la risposta venga notificata alla sede legale della ditta affinché possa ritenersi conoscibile la richiesta medesima al legale rappresentante di quest'ultima.

Pertanto, non essendo richiesta la notifica anche alla persona fisica, e atteso che in una società il destinatario della notifica è il suo rappresentante legale, la notifica di una richiesta “legalmente data” che sia stata inoltrata all'indirizzo della Pec, indicato dalla società nel registro delle imprese, è regolare.

Infatti in tal caso il rappresentante legale è posto in condizione di conoscere la richiesta e ottemperare a quanto richiesto, fermo restando che è compito del giudice di verificare la data di conoscenza della richiesta stessa al fine di accertare l'inottemperanza. A nulla rileva il motivo di doglianza del ricorrente, secondo cui non avrebbe avuto accesso alle email della società, di cui era legale rappresentante, essendo il mancato accesso alla consultazione della posta elettronica a lui certamente e colposamente imputabile.

Tali fatti e circostanze ha indotto i giudici di Cassazione a dichiarare il ricorso inammissibile in quanto non vi è ragione di ritenere che lo stesso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, disponendo così a carico del ricorrente, in aggiunta all'originaria ammenda di 300 euro, anche la somma di 2mila euro in favore della Cassa delle ammende.

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