Contenzioso

Licenziamenti disciplinari senza reintegra se la contestazione è tardiva

di Daniele Colombo

Meno spazio per la reintegra. Il licenziamento per motivi soggettivi intimato a un lavoratore in regime di tutela reale (articolo 18 dello Statuto dei lavoratori) in seguito a una ingiustificata contestazione tardiva, comporta l’applicazione – come sanzione in caso di illegittimità del recesso – della tutela indennitaria: vale a dire, tra 12 e 24 mensilità di retribuzione globale di fatto (articolo 18, comma 5 della legge 300/1970). È quanto ha stabilito la Corte di cassazione nella sentenza 30985 del 27 dicembre 2017, pronunciata dalle Sezioni unite. Queste erano state chiamate a dirimere il contrasto giurisprudenziale sulle conseguenze sanzionatorie del vizio della tardività della contestazione disciplinare, che offre lo spunto per analizzare i vizi più ricorrenti nelle contestazioni disciplinari e le relative conseguenze sanzionatorie in caso di illegittimità del licenziamento.

I due orientamenti

Secondo un primo orientamento, infatti, l’immediatezza della contestazione costituisce un elemento essenziale del licenziamento, la cui mancanza consente l’applicazione della tutela reintegratoria. In altri termini, dal momento in cui il fatto non è contestato idoneamente, lo stesso sarebbe insussistente in base all’articolo 18 della legge 300/1970, in quanto sul piano letterale la norma parla di insussistenza del «fatto contestato», cioè contestato regolarmente (si veda la sentenza della Cassazione, sezione lavoro, 2513 del 31 gennaio 2017).

Secondo un altro indirizzo, invece, si deve negare carattere sostanziale al vizio della contestazione tardiva. Quest’ultima sarebbe una mera violazione procedurale con applicazione, quindi, della tutela indennitaria ex articolo 18 della legge 300/1970, come modificato dalla legge 92/2012 (si veda la sentenza 23669 della Cassazione, sezione lavoro, del 23 novembre 2014).

La linea delle Sezioni unite

Le Sezioni unite, invece, ritengono applicabile la tutela indennitaria prevista dall’articolo 18, comma 5, della legge 300/1970, con risoluzione del rapporto di lavoro e condanna al pagamento di un indennizzo compreso tra 12 e 24 mensilità di retribuzione. Infatti, la tardività non incide sulla sussistenza/insussistenza dell’inadempimento (o del fatto). Tuttavia, non costituisce nemmeno una violazione procedurale non essendo prevista, tra le altre cose, in via espressa dall’articolo 7 della legge 300/1970.

La tardività, proseguono i giudici, è comunque contraria ai principi di buona fede e correttezza (articoli 1175 e 1375 del Codice civile), che impongono al datore di lavoro di contestare immediatamente i fatti (o gli inadempimenti). La conseguenza è il fatto che la violazione del diritto di difesa del lavoratore comporterà la tutela indennitaria prevista dall’articolo 18, comma 5, della legge 300/1970.

Diversamente, qualora il contratto collettivo o la legge dovessero prevedere termini per la contestazione, la relativa violazione sarebbe attratta nell’alveo della violazione procedurale prevista dall’articolo 18, comma 6 (indennità da sei a 12 mensilità), in quanto violazione caratterizzata da contrarietà a una regola di carattere procedimentale.

Addebito specifico

La contestazione disciplinare non deve essere generica: deve descrivere i fatti in maniera sufficientemente dettagliata, in modo da individuare nella sua materialità il fatto oggetto di infrazione. Diversamente, la contestazione deve considerarsi nulla.

Secondo l’orientamento prevalente, la genericità comporta insussistenza del fatto con applicazione del regime della reintegrazione (Tribunale di Milano, sentenza del 15 aprile 2015, giudice Dossi; Tribunale di Milano, 1° luglio 2016, giudice Colosimo; Cassazione, sentenza 9615 del 12 maggio 2015).

Allo stesso modo, l’assenza della contestazione ovvero l’adozione di una forma diversa da quella scritta comporta l’applicazione della reintegrazione (Cassazione, sezione lavoro, sentenza 25745 del 14 dicembre 2016).

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