Contenzioso

Molestie sessuali, il Comune che risarcisce la vittima si rivale sul dipendente anche se non lo ha sanzionato

di Paola Rossi


Il Comune che non procede disciplinarmente nei confronti dell'autista del sindaco denunciato per molestie sessuali da un'altra dipendente comunale è tenuto a risarcire i danni non patrimoniali alla vittima in proporzione al livello di responsabilità che si può attribuire alla condotta dell'ente locale.

La Corte di cassazione, con la sentenza 7097/2018 depositata ieri, ha respinto sia il ricorso del dipendente comunale denunciato sia quello del Comune: l'uno contestava la manleva esercitata e ottenuta nei suoi confronti dall'ente locale e quest'ultimo contestava l'aggravio - stabilito dai giudici di appello - della cifra dovuta a titolo di equa riparazione del danno non patrimoniale.

L'inerzia della Pa contro violazioni disciplinari
Il dipendente comunale voleva contestare la legittimità della condanna a restituire a titolo di manleva al Comune il 60% di quanto, in qualità di datore di lavoro, l'ente era stato condannato già in primo grado a versare alla dipendente molestata. Sosteneva l'autista che la decisione del giudice di appello di accollargli più della metà del risarcimento fosse un marchiano errore di diritto in quanto la responsabilità da cui derivava l'accollo è quella specifica del datore di lavoro come enunciata all'articolo 2087 del Codice civile. Cioè per non aver tutelato un proprio dipendente sul luogo di lavoro.

La Cassazione rigetta in toto la lamentela chiarendo che la responsabilità del datore-ente locale origina però da un comportamento tenuto dal dipendente. E, correttamente, il giudice di appello ha valutato la proporzione della responsabilità tra Comune e autista comunale.

La Cassazione rigetta anche la lamentela dell'ente locale contro quello che considerava un ingiustificato aggravio della somma risarcitoria stabilito in secondo grado. I giudici di legittimità rispondono al Comune che la cifra iniziale copriva il solo danno biologico che, infatti, era stato liquidato in base alle specifiche tabelle «milanesi», mentre alla persona offesa venivano riconosciute legittimamente le ulteriori voci di danno non patrimoniale, cioè morale ed esistenziale che corrispondono rispettivamente alle sofferenze morali e alla lesione della dignità patite dalla vittima. Questo, infine, il prezzo pagato dal Comune per l'inerzia a perseguire la condotta illecita in ambito disciplinare.

La tempestività della contestazione
La Pa non viene meno all'obbligo della tempestività della contestazione disciplinare se attende il dispositivo della sentenza di condanna e procede all'avvio del procedimento prima del deposito delle motivazioni.

Proprio due giorni fa - con la sentenza 6989/2018 - la Corte di cassazione si è pronunciata su un'altra vicenda che vede al centro l'esercizio del potere disciplinare da parte del datore di lavoro pubblico contro un proprio dipendente molestatore sessuale. In quel caso la gravità dell'accusa di stupro nei confronti di un ginecologo di una azienda sanitaria provinciale da parte di una donna utente del servizio ha fatto sì che l'Asp attendesse i risultati del processo prima di procedere al licenziamento, sanzione grave ed estrema, ma inevitabile epilogo per un episodio su cui la sicurezza di agire in modo commisurato alla realtà dei fatti corrisponde a canoni apprezzabili.

Processo penale e procedimento disciplinare sono certamente indipendenti e altrettanto certamente vale come regola stringente l'obbligo di contestare in tempi strettissimi le condotte illecite di cui il datore di lavoro venga a conoscenza. Ma nel caso specifico l'accertamento condotto dai giudici era fondamentale per l'amministrazione al fine di applicare la sanzione disciplinare più grave, senza sottacere che proprio grazie al processo giurisdizionale il datore di lavoro pubblico era venuto a conoscenza di una precedente condanna per stupro che era stata taciuta dal ginecologo. Questo si era prima lamentato che l'Asp non fosse stata tempestiva attendendo la condanna e poi pretendeva che fosse condanna la stessa Azienda per non aver atteso le motivazioni della decisione. Un atteggiamento artatamente oscillante che ha determinato il rigetto del ricorso del medico pubblico.

La sentenza n. 7097/18 della Corte di cassazione

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