Contenzioso

Licenziamento secondo regole anche in caso di fallimento

di Giuseppe Bulgarini d’Elci

È priva di fondamento la tesi per cui il mancato esercizio della prestazione di lavoro conseguente all’intervenuto fallimento dell’azienda comporta, sempre e comunque, l’esclusione del dipendente dal diritto al versamento della retribuzione e al riconoscimento dei contributi che discendono dal rapporto di lavoro.

La Cassazione ha espresso questo principio (sentenza 7308/2018) in un caso nel quale la Corte d’appello di Napoli, confermando la decisione del giudice di primo grado, aveva escluso dal passivo fallimentare la domanda di una lavoratrice volta al riconoscimento della retribuzione non percepita a seguito della dichiarazione di fallimento e del successivo licenziamento dichiarato inefficace, con sentenza passata in giudicato, per violazione della procedura di riduzione del personale secondo la legge 223/1991.

La Suprema corte rimarca che, a seguito della dichiarazione di fallimento, il rapporto di lavoro rimane sospeso, secondo quanto previsto dall’articolo 72 della legge fallimentare, in attesa che il curatore eserciti la scelta tra la prosecuzione del contratto di lavoro medesimo o la sua definitiva interruzione. È solo in questo lasso temporale, prosegue la Cassazione, che il rapporto di lavoro, poiché la prestazione lavorativa non viene resa, rimane sospeso e il lavoratore non vanta diritto alle retribuzioni e ai contributi.

La Cassazione osserva opportunamente, peraltro, che lo stato di incertezza in cui versa il lavoratore in questa fase è mitigato dalla possibilità, anch’essa riconosciuta dall’articolo 72 della legge fallimentare, di mettere in mora il curatore affinché, nel tempo assegnato dal giudice delegato, eserciti la sua scelta tra prosecuzione del rapporto o recesso, con ulteriore possibilità, ricorrendo l’inerzia del curatore, di agire per il risarcimento dei danni.

La Cassazione è netta nell’affermare che, una volta che il curatore abbia optato per lo scioglimento del rapporto di lavoro, dovranno essere rispettate le norme che disciplinano l’intimazione ai lavoratori dei licenziamenti individuali e collettivi. La tutela degli interessi di cui è portatore il fallimento non esclude, in questo senso, l’obbligo di osservare le disposizioni generali che, in un’ottica di salvaguardia della posizione dei lavoratori, limitano il ricorso ai licenziamenti.

Da questo assunto consegue che, nel caso in cui il licenziamento sia stato adottato in difformità dal modello legale, si applicheranno le conseguenze sanzionatorie derivanti dall’illegittimo ricorso da parte dell’azienda al potere unilaterale di recesso, con esclusione della sola misura reintegratoria in caso di definitiva disgregazione aziendale, ma con conservazione degli effetti sul piano risarcitorio.

Applicando queste regole al caso in esame, la Corte ha concluso che, poiché il licenziamento intimato dalla curatela fallimentare era inefficace per non aver seguito le regole dettate per gli esuberi di personale, il dipendente aveva pienamente diritto alle competenze risarcitorie previste dall’articolo 18 dello statuto dei lavoratori in termini di retribuzioni mensili perdute.

La Suprema corte ha rinviato alla Corte d’appello in diversa composizione affinché provveda ad ammettere al passivo del fallimento la lavoratrice per le retribuzioni maturate a seguito del licenziamento dichiarato inefficace.

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