Contenzioso

Nulli i contratti di lavoro delle società pubbliche senza procedure concorsuali

di Mariano Delle Cave

Con la sentenza n. 4358/2018, la Corte di Cassazione fa finalmente chiarezza sulla sorte dei contratti di lavoro, stipulati dalle società a partecipazione pubblica, senza preventiva pubblica procedura comparativa, sia prima che dopo l'entrata in vigore del D.lgs. n. 175/2016 (cd. Testo Unico sulle società partecipate pubbliche)
La fattispecie riguarda un contratto a tempo determinato, concluso senza una procedura concorsuale da una società mista, con vincolo di legge regionale di mantenimento della maggioranza pubblica. All'epoca della stipulazione era vigente l'art. 18 del DL 112/2018. Tale norma aveva prescritto, per le società a partecipazione pubblica totale o di controllo l'adozione di procedure concorsuali improntate ai principi di trasparenza, pubblicità e imparzialità.
La Suprema Corte ha statuito che il contratto a termine dedotto in causa, pur di natura privatistica e sottratto alla disciplina del pubblico impiego, fosse invalido ai sensi dell'art. 18. Benché il termine apposto non risultasse conforme al vigente D.lgs. n. 365/2001, il lavoratore non poteva pretendere la conversione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato. In assenza di una procedura comparativa, la nullità del contratto si riversa sulla genesi del rapporto, per cui esso non poteva validamente sorgere in violazione di una disposizione che impone determinati requisiti per la stipulazione dell'accordo, quali appunto l'esperimento di una procedura comparativa pubblica.
Ad avviso della Suprema Corte, l'omesso esperimento di una procedura concorsuale può solo determinare una potenziale responsabilità contabile del dirigente o amministratore che per conto della società partecipata stipula il contratto di lavoro, ma non anche fondare pretese di riqualificazione del relativo rapporto.
La Cassazione ha ritenuto che la tesi di invalidità del contratto di lavoro, senza un preventivo esperimento di una pubblica procedura comparativa, fosse non solo già desumibile dall'art. 18 del DL 112/2008, ma trovi conforto anche nell'attuale art. 19 del Testo Unico che ha espressamente previsto la sanzione della nullità per quei rapporti di lavoro non preceduti da trasparenti selezioni.
L'art. 19 del Testo Unico non è una norma innovativa, ma ha solo esplicitato una conseguenza dei principi di diritto già in essere in tema di nullità. Una tesi diversa, secondo la Cassazione, non terrebbe conto di quella particolare natura delle società partecipate e della necessità, avvertita dalla Corte Costituzionale in diverse pronunce (peraltro antecedenti pure all'entrata in vigore dell'art. 18 del DL 112/2008), di non limitare l'attuazione dei precetti dettati dall'art. 97 Cost. ai soli soggetti formalmente pubblici. Bensì estendere tali principi anche alle società, enti di natura privatistica, che svolgono servizi di interesse generale.
La Corte Costituzionale, a partire dagli anni '90, aveva, infatti, già osservato che il solo mutamento della veste giuridica dell'ente non è sufficiente a giustificare la totale eliminazione dei vincoli pubblicistici, ove la privatizzazione non assuma anche connotati essenziali, tali da determinare l'uscita delle società derivate dalla sfera della finanza pubblica.
La giurisprudenza costituzionale ha sempre distinto la privatizzazione sostanziale da quella meramente formale e sottolinea che in detta seconda ipotesi deve applicarsi l'art. 97 Cost., del quale, come pure ribadito dalla Corte dei Conti, l'art. 18 del DL 112/2008 (ma anche l'attuale art. 19 del T.U.) è attuazione.
La sentenza, tuttavia, non approfondisce il tema della partecipazione delle società, coinvolta nella fattispecie esaminata dalla Cassazione. Sembra opportuno ribadire che per le società cd. miste, gli obblighi di trasparenza del reclutamento del personale valgono, ai sensi dell'art. 2 e dell'art. 19 del T.U., ma anche per il previgente art. 18 del DL 112/2008, laddove ci sia un controllo da parte della P.A. manifestato secondo le disposizioni dell'art. 2359 c.c. e pertanto non andrebbe confuso semplicemente con la maggioranza delle partecipazioni. A tale proposito si è di recente espresso il Ministero dell'economia e delle finanze, con un orientamento reso in data 15 febbraio 2018, ai sensi dell'art. 15, comma secondo, del Testo Unico. Tale Orientamento ritiene, pur senza un adeguato sviluppo argomentativo, che “il controllo di cui all'articolo 2359 c.c. possa essere esercitato da più amministrazioni congiuntamente, anche a prescindere dall'esistenza di un vincolo legale, contrattuale, statutario o parasociale tra le stesse”; e altresì che “si realizzi una ulteriore ipotesi di controllo congiunto (…), quando “in applicazione di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all'attività sociale è richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo”.

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