Contenzioso

Requisiti religiosi solo se essenziali

di Marina Castellaneta

Le organizzazioni fondate sulla religione e la chiesa possono subordinare l’assunzione di un dipendente all’esistenza di requisiti come convinzioni personali o credo, se essenziali per lo svolgimento di un’attività lavorativa. A patto, però, per non incorrere in una discriminazione fondata sul credo religioso vietata dal diritto Ue, che sia rispettato il principio di proporzionalità e garantito un controllo giurisdizionale effettivo. Lo ha chiarito la Corte di giustizia Ue con la sentenza di ieri nella causa C-414/16. La vicenda ha avuto inizio in Germania: una donna aveva risposto a un’offerta di lavoro della Evangelisches Werk per la stesura di una relazione sulla convenzione delle Nazioni Unite sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale. Tra i requisiti, era indicata l’appartenenza a una chiesa evangelica o a un ente dell’associazione delle chiese cristiane tedesche. La donna non era stata invitata al colloquio e aveva presentato ricorso al Tribunale del lavoro di Berlino che, in parte, le aveva dato ragione. Non così in appello e la Corte federale del lavoro ha chiesto agli eurogiudici un chiarimento sulla direttiva 2000/78 sulla parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro.

È vero – scrive Lussemburgo – che si è verificata una differenza di trattamento basata sulla religione, ma la stessa direttiva ammette che si possa richiedere un requisito connesso alla religione o alle convinzioni personali, tenendo conto «dell’etica dell’organizzazione». A condizione, però, che ciò sia essenziale, legittimo e giustificato per lo svolgimento dell’attività lavorativa e che l’aspirante al posto di lavoro possa ricorrere in sede giurisdizionale. A garanzia del lavoratore, poi, il giudice nazionale, se non può procedere all’interpretazione conforme, dovrà disapplicare il diritto interno contrario al principio di non discriminazione stabilito dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione e, se necessario, ribaltare la giurisprudenza interna consolidata.

La sentenza delle Corte Ue nella causa C-414/16

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