Contenzioso

Legittima la decurtazione temporanea delle pensioni anticipate

di Matteo Prioschi

Non è lesivo dei principi di adeguatezza e di proporzionalità delle pensioni il taglio applicato agli assegni previdenziali a chi è andato in pensione anticipata nel triennio 2012-2014 perché l'anzianità contributiva non era determinata esclusivamente da prestazione effettiva di lavoro. Così ha deciso la Corte costituzionale con la sentenza 104/2018.

La riforma previdenziale del 2011 (articolo 24 del Dl 201/2011) ha introdotto la pensione anticipata, a cui gli uomini accedevano inizialmente con 42 anni e 1 mese di contributi, mentre per le donne erano sufficienti 41 anni e 1 mese. Tuttavia se il pensionato aveva meno di 62 anni di età, era previsto un taglio sulla quota di assegno relativa alle anzianità contributive maturate prima del 2012 e pari all'1% per ognuno dei primi due anni di anticipo rispetto ai 62 anni e del 2% per ogni ulteriore anno.

Questa penalizzazione è stata quasi immediatamente sterilizzata dall'articolo 6 del decreto legge 216/2011 nel caso in cui l'anzianità contributiva fosse stata maturata «esclusivamente da prestazione effettiva di lavoro, includendo i periodi di astensione obbligatoria per maternità, per l'assolvimento degli obblighi di leva, per infortunio, per malattia e di cassa integrazione guadagni ordinaria».

Successivamente sono state considerate prestazione effettiva di lavoro anche le assenze per donazione di sangue, congedi parentali e permessi in base alla legge 104/1992. Quindi, con la legge 190/2014, è stata esclusa la penalizzazione per le pensioni decorrenti dal 1° gennaio 2015, a prescindere dalla prestazione effettiva da lavoro. Infine la legge 208/2015 ha escluso l'applicazione della penalizzazione a chi è andato in pensione nel periodo 2012-2014 ma solo con effetto sugli assegni pagati dal 2016.

Di conseguenza chi è andato in pensione nel periodo 2012-2014 ha avuto la pensione decurtata fino a tutto il 2015. Il tribunale ordinario di Palermo, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 299, della legge 208/2015 in quanto sarebbe sacrificato in maniera irragionevole il diritto dei lavoratori collocati in pensione anticipata negli anni 2012, 2013 e 2014 di ricevere «un trattamento previdenziale proporzionato al lavoro e alla contribuzione per esso versata (articolo 36, comma 1, della Costituzione) e adeguato (articolo 38, comma 2, della Costituzione), in attuazione del principio solidaristico di cui all'articolo 2 della Costituzione e del medesimo principio di eguaglianza sostanziale di cui al citato articolo 3, comma 2, della Costituzione».

La Corte costituzionale rileva, però, che il legislatore può disincentivare i pensionamenti anticipati e al contempo favorire una permanenza più lunga al lavoro purché ciò avvenga contemperando la sostenibilità del sistema previdenziale con i principi di eguaglianza e ragionevolezza e con la tutela della proporzionalità e dell'adeguatezza dei trattamenti pensionistici. Inoltre non è necessario che ci sia un «rapporto di indefettibile corrispondenza» tra le pensioni e le retribuzioni o la contribuzione versata, ma una tendenziale correlazione «che salvaguardi l'idoneità del trattamento previdenziale a soddisfare le esigenze di vita».

In tale prospettiva, la decurtazione della pensione per chi ha smesso di lavorare prima dei 62 anni, sottolinea la Consulta, è limitata a 4 anni e si inserisce in una riforma contenente «drastiche misure» di riduzione della spesa previdenziale. Inoltre il taglio è progressivo e, complessivamente, non «implica un sacrificio sproporzionato e irragionevole» del diritto a proporzionalità e adeguatezza della pensione.

I giudici costituzionali non condividono nemmeno l'ipotesi, sollevata dal tribunale di Palermo, che il trattamento più sfavorevole riservato ai pensionati del triennio 2012-2014 sia discriminatorio. «Per costante giurisprudenza di questa Corte – si legge nella sentenza – nei rapporti di durata il trattamento differenziato, riservato a una determinata categoria di soggetti in momenti diversi nel tempo, non contrasta con il principio di eguaglianza». Sempre rispettando il canone di ragionevolezza, c'è la possibilità modificare le regole e il passare del tempo è un «apprezzabile criterio distintivo».

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