Contenzioso

I Dj in sala di registrazione sono lavoratori dello spettacolo

di Silvano Imbriaci

Nell'ambito dell'assicurazione (ex) Enpals, confluita all'interno dell'Inps (Dl 78/2010), confluiscono i lavoratori dello spettacolo ai sensi del decreto legge del Capo provvisorio dello Stato 708/1947, intendendosi come spettacolo qualsiasi rappresentazione o manifestazione che abbia luogo davanti a un pubblico appositamente convenuto o che comunque raggiunga un pubblico più ampio grazie agli strumenti della tecnica.

Nel corso del tempo la normativa ha ampliato progressivamente il campo di applicazione di questo tipo di assicurazione, sotto il profilo soggettivo e oggettivo, cogliendo la tendenza a una sempre maggior spettacolarizzazione di settori prima esclusi da una concezione evidentemente retrodatata di spettacolo risalente all'epoca dell'introduzione dell'obbligo assicurativo.

Attualmente, per effetto della legge 289/2002, si parla, più propriamente, di figure professionali operanti nel campo dello spettacolo e dello sport, al termine di un percorso legislativo che comunque ha portato a una progressiva trasformazione di questo concetto. In particolare già negli anni '80 (Dpr 207/1987) l'obbligo assicurativo è stato esteso ai presentatori e ai disc-jockey, così come successivamente agli indossatori e ai tecnici delle manifestazioni di moda, ai prestatori di lavoro addetti ai totalizzatori nelle agenzie ippiche e agli animatori turistici.

La controversia oggetto della sentenza, 20 giugno 2018, numero 16253 della Cassazione, riguarda il caso di un dj-producer, ossia quella figura professionale che non svolge attività nelle discoteche, nelle radio e nelle televisioni (in estrema sintesi: scelta del programma musicale e annuncio del brano al microfono), ma che lavora all'interno di uno studio di registrazione, con funzioni di arrangiatore atipico e produttore artistico, soprattutto nel settore della musica house e techno dove la possibilità di manipolare, selezionare e creare ritmi e suoni nuovi costituisce spesso il dato specifico del successo di queste produzioni.

Proprio per questo tipo di attività limitata alla produzione "in studio", era stata invocata l'esclusione dall'obbligo contributivo ex Enpals, avendo l'elencazione delle categorie contenuta nell’articolo 3 del Dl del Capo provvisorio dello Stato carattere tassativo e quindi non interpretabile estensivamente. Doveva infatti ritenersi prevalente l'attività commerciale rispetto a quella dello spettacolo, anche per la presenza di un dato non secondario, la mancanza di pubblico dal vivo.

La Cassazione ritiene invece che l'estensione (anche sotto il profilo normativo) dell'assicurazione Enpals, anche a settori prima pacificamente esclusi, non possa consentire l'esclusione del dj-producer dall'ambito di tale gestione assicurativa, in quanto autore comunque di attività artistica che si concretizza nella realizzazione di un supporto registrato o riproducibile (destinato al commercio) e nella potenziale fruibilità da parte del pubblico, non in via diretta ma attraverso le moderne tecniche di registrazione e veicolazione della musica. La distinzione tra i due tipi di dj a fini contributivi appare dunque superata dagli eventi, ed è comunque del tutto ininfluente rispetto all'ambito assicurativo ex Enpals.

La sentenza si occupa, infine, anche di un tema di grossa rilevanza pratica, quale quello dell'assoggettamento a contribuzione dei compensi corrisposti per le prestazioni dirette a realizzare in studio registrazioni di manifestazioni musicali o di altro tipo. L'articolo 43 della legge 289/2002 presuppone l'assoggettamento a obbligo contributivo dei compensi corrisposti a titolo di cessione dello sfruttamento del diritto d'autore, d'immagine e di replica.

Tali compensi non possono eccedere il 40% dell'importo percepito complessivamente per le prestazioni riconducibili alla medesima attività, rimanendo la quota sotto tale soglia esente da contribuzione. Tale norma era stata introdotta proprio al fine di perseguire l'obiettivo di ridurre il contenzioso contributivo; per cui solo la parte eccedente deve essere considerata imponibile a fini previdenziali. Tale meccanismo facilita l'approccio all'obbligo assicurativo, non essendo necessario distinguere l'effettiva natura dell'attività svolta.

È stata quindi superata quell'isolata interpretazione giurisprudenziale (Cassazione, sezione lavoro, 28 gennaio 2004 numero 1585) secondo cui le somme versate all'artista a titolo di compenso per la cessione della sua immagine o dello sfruttamento di registrazioni audiovisive dovevano ritenersi esonerate dal prelievo contributivo in favore dell'ente previdenziale, sul presupposto che si trattasse di compensi dovuti per la registrazione diversi dalla retribuzione soggetta ad obblighi contributivi.

Oggi la Cassazione è di diverso avviso (si veda ad esempio la sentenza 3599/2010), e ritiene pacificamente che tali compensi, ove pattuiti, debbano essere detratti da quelli assoggettabili a contribuzione, nei limiti della quota massima prevista dall'articolo 43 della legge 289/2002.

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