Contenzioso

Dimissioni, termine di preavviso più lungo solo con compensazione

di Giulia Bifano e Uberto Percivalle

La durata del preavviso dovuto in caso di risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro è stabilita dalla contrattazione collettiva e può essere derogata dall'accordo individuale tra datore di lavoro e dipendente solo se tale deroga comporta l'applicazione di condizioni più favorevoli al lavoratore. Pertanto, la clausola del contratto individuale di lavoro che stabilisca un termine di preavviso per le dimissioni più lungo rispetto a quello contemplato dal contratto collettivo è valida solo laddove il dipendente ne tragga, come conseguenza diretta, l'attribuzione di benefici economici e di carriera.

Lo ha affermato la Corte di cassazione con l'ordinanza n. 19080/18, accogliendo il ricorso di un lavoratore che si era visto condannato al pagamento, a favore del proprio ex datore di lavoro, dell'indennità sostitutiva del preavviso per avere presentato le proprie dimissioni senza osservare il termine di dodici mesi stabilito nel contratto individuale, in deroga a quello inferiore previsto dalla contrattazione collettiva.

La Corte d'appello di Cagliari confermava la conclusione del Tribunale di Sassari, secondo cui la clausola del contratto di lavoro che fissava il preavviso di recesso in una misura superiore a quella prevista dal contratto collettivo era legittima e quindi efficace. Secondo i giudici del rinvio, l'efficacia bilaterale della previsione contrattuale, che obbligava entrambe le parti ad un preavviso maggiore di quello a cui sarebbero state tenute secondo la disciplina collettiva, era idonea ad escludere che si trattasse di una condizione di sfavore per il solo lavoratore giacché rappresentava una condizione oggettiva di reciproco vantaggio per entrambe le parti del rapporto di lavoro.

Questo pare il punto di maggiore interesse della decisione e del successivo esame da parte della Suprema corte. Infatti, investita della questione, la Cassazione ha ribaltato le decisioni dei giudici di merito, ritenendo non sufficiente che l'estensione del termine di preavviso venga concordata a beneficio di entrambe le parti affinché la stessa sia legittima. Accogliendo le doglianze del lavoratore circa l'assenza di una specifica remunerazione o compensazione connessa al maggiore preavviso da quest'ultimo dovuto in caso di dimissioni, la Corte ha richiamato e confermato il principio di diritto di cui alla propria sentenza n.18122/16 secondo cui “In materia di recesso dal rapporto di lavoro, la durata legale o contrattuale del preavviso è derogabile dall'autonomia delle parti, sicché è valida la clausola del contratto individuale che preveda un termine di preavviso per le dimissioni più lungo rispetto a quello stabilito dalla contrattazione collettiva, ove il lavoratore riceva, quale corrispettivo per tale deroga, l'attribuzione di benefici economici e di carriera”.

Come detto, la novità è che in questo caso non era scontato dire a favore di chi avrebbe operato la deroga alle previsioni collettive pattuita tra le parti, mentre nel caso del 2016 la deroga toccava in primis il dipendente e operava a favore del datore. La conclusione raggiunta dalla Corte stavolta avrebbe pertanto potuto esser diversa. I giudici hanno invece voluto ribadire che, indipendentemente dalle pattuizioni volte ad aumentare il preavviso dovuto dal datore di lavoro in caso di licenziamento, per derogare validamente alla disciplina collettiva che stabilisce la misura del preavviso dovuto dal lavoratore in caso di dimissioni, aumentandone l'estensione, l'accordo tra datore di lavoro e dipendente deve necessariamente prevedere una specifica compensazione a ciò connessa. Per completare il quadro forse è il caso di ricordare come, con la sentenza 4991/15 la Cassazione avesse anche statuito che, in presenza di congrui vantaggi economici riconosciuti in ragione della deroga al dipendente, sia finanche possibile prevedere un termine di preavviso per le dimissioni più lungo rispetto a quello stabilito per il licenziamento. Il mosaico delle regole su questo tema pare articolato e gli operatori faranno bene a tenerlo presente.

L'ordinanza n. 19080/18 della Cassazione

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