Contenzioso

I contributi vanno sempre versati, anche a costo di ridurre gli stipendi

di Matteo Prioschi

Anche se in difficoltà economica, il datore di lavoro non può astenersi dal versare i contributi all'Inps relativi alle retribuzioni dei dipendenti. Spetta all'imprenditore gestire le risorse disponibili in modo da assolvere comunque all'obbligo.

Con la sentenza 39225/2018, la Cassazione si è occupata del caso di una imprenditrice che non ha versato i contributi da giugno a dicembre 2009 per un importo di 12.596 euro e da marzo ad agosto 2010 per 11.971 euro, sostenendo di non aver avuto altra possibilità a fronte del mancato pagamento delle fatture da parte del cliente principale. In tale situazione l'imprenditrice ha comunque corrisposto integralmente gli stipendi.

Secondo la Suprema corte «non costituisce elemento rilevante al fine di escludere l'elemento soggettivo la fase di criticità nella gestione dell'impresa o di difficoltà economica attraversata dal datore di lavoro che destini perciò le proprie risorse finanziare al pagamento di debiti più urgenti». Aggiungono i giudici che, a fronte delle risorse disponibili, spetta al datore di lavoro ripartirle in modo da versare i contributi, anche se ciò comporti un pagamento parziale delle retribuzioni. Con questa considerazione hanno respinto la posizione sostenuta dalla difesa dell'imprenditrice, secondo cui «la possibilità di ripartire le risorse esistenti in modo da poter assolvere al debito parafiscale anche se ciò non consenta il pagamento degli stipendi nel loro intero ammontare non può ritenersi…un'opzione né razionale né legittima» perché determinerebbe un danno per i dipendenti e per l'azienda stessa.

La sentenza affronta inoltre il tema del regime sanzionatorio da applicare in questo caso, dato che l'imprenditrice ha sostenuto che per l'anno 2009 fosse intervenuta la prescrizione. I giudici osservano che i mancati versamenti per quell'anno ammontano a oltre 10mila euro, soglia della depenalizzazione introdotta con il decreto legislativo 8/2016. Quindi gli importi contestati sono in entrambi i casi sanzionabili.

Dato che con la vecchia normativa il reato si consumava per ogni versamento mensile omesso, mentre con la nuova si considera fino al 16 gennaio dell'anno successivo (data di versamento dei contributi di dicembre), il regime più favorevole al datore di lavoro in questo caso, a livello temporale, è quello vecchio. Tuttavia, tenuto conto dei 7 anni e 6 mesi di prescrizione, più i tre mesi di sospensione previsti dall'articolo 2, comma 1 quater, del decreto legge 463/1983, e le sospensioni verificatesi nei primi due gradi di giudizio per astensione del difensore, alla data della pronuncia della sentenza di appello non era maturata la prescrizione nemmeno per la mensilità di vecchia (giugno 2009) di mancato versamento dei contributi.

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