Contenzioso

I reiterati e costanti pagamenti in un rapporto di lavoro si presumono di natura retributiva

di Salvatore Servidio

Con la sentenza 13 settembre 2018, n. 22387, la Sezione lavoro della Cassazione si è pronunciata su un caso di presunta indebita erogazione di un elemento retributivo, ossia di un contributo mensile per le spese di viaggio che il datore di lavoro aveva inizialmente riconosciuto al dipendente in ragione di un distacco presso altra sede dell’impresa, ma che aveva continuato a corrispondere anche dopo la cessazione del distacco e venute meno le esigenze di viaggio, fino alla fine del rapporto di lavoro.

In giudizio, il lavoratore aveva chiesto che si tenesse conto di tale emolumento nel calcolo del Tfr ed al fine del risarcimento da lui domandato per il mancato computo dello stesso nella determinazione della pensione integrativa aziendale, mentre il datore di lavoro domandava in via riconvenzionale la restituzione dei pagamenti eseguiti, in quanto indebiti.
La Corte d’appello, in riforma della sentenza di primo grado, aveva respinto le richieste del lavoratore, mentre aveva accolto la domanda del datore di lavoro a ragione del fatto che il pacifico venir meno della causa originaria del pagamento rendeva di per sé fondata l’azione di ripetizione dell’indebito, spettando al lavoratore dimostrare il sopravvenire di un nuovo titolo che giustificasse le erogazioni. Prova che non poteva essere ravvisata negli elementi presuntivi indicati dal Tribunale, né poteva farsi riferimento, sempre secondo la Corte di merito, ai capitoli di prova testimoniale dedotti, in quanto generici o non conferenti.

Il lavoratore propone ricorso per Cassazione denunciando in primis, per quanto qui di interesse, violazione degli articoli 49 e 51 del Dpr 22 dicembre 1986, n. 917, per avere la Corte territoriale ritenuto automaticamente indebite tutte le somme erogate al dipendente il cui titolo o la cui imputazione, imposte dal datore di lavoro, non corrispondeva alla realtà dei fatti.
Inoltre si afferma violazione dell’articolo 2697 del Codice civile per avere il giudice del riesame ritenuto che il ricorrente fosse tenuto ad allegare e provare una fonte di debito alternativa, la quale, una volta esclusa la sussistenza del titolo cui il solvens aveva imputato il pagamento, giustificasse l’erogazione delle corrispondenti somme.

Il distacco e la trasferta
Si precisa a priori che ai sensi dell’articolo 30 del Dlgs 10 settembre 2003, n. 276, l’ipotesi del distacco si configura quando un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa.
Nel caso di specie, invece, come si apprende dalla narrativa del fatto, il lavoratore è stato temporaneamente spostato da una città a un’altra del Veneto, corrispondendo un contributo mensile per le spese di viaggio, ma alle dipendenze del medesimo istituto di credito.
Sembra quindi tecnicamente più corretto inquadrare la fattispecie nell’ipotesi della trasferta, la quale qualifica lo spostamento provvisorio del lavoratore in una località diversa da quella in cui svolge normalmente la propria attività a causa di esigenze aziendali transitorie e contingenti: il contratto non subisce modifiche, è possibile che vengano riconosciuti al lavoratore indennità e rimborso spese.
Dal punto di vista fiscale, la trasferta è disciplinata è regolamentata dall’articolo 51, comma 5, del Tuir, secondo cui le indennità percepite per le trasferte o le missioni fuori del territorio comunale concorrono a formare il reddito per la parte eccedente 46,48 euro al giorno, elevate a 77,47 euro per le trasferte all’estero, al netto delle spese di viaggio e di trasporto; in caso di rimborso delle spese di alloggio, ovvero di quelle di vitto, o di alloggio o vitto fornito gratuitamente il limite è ridotto di un terzo. Il limite è ridotto di due terzi in caso di rimborso sia delle spese di alloggio che di quelle di vitto. In caso di rimborso analitico delle spese per trasferte o missioni fuori del territorio comunale non concorrono a formare il reddito i rimborsi di spese documentate relative al vitto, all’alloggio, al viaggio e al trasporto, nonché i rimborsi di altre spese, anche non documentabili, eventualmente sostenute dal dipendente, sempre in occasione di dette trasferte o missioni, fino all’importo massimo giornaliero di 15,49 euro, elevati a 25,82 euro per le trasferte all’estero.

La decisione
Accogliendo il ricorso del lavoratore, con la sentenza n. 22387/2018 in esame, la Sezione lavoro afferma il principio che va presunta la natura retributiva di un reiterato e costante pagamento che si verifichi nell’ambito di un rapporto di lavoro, spettando al solvens (cioè a colui che paga) dimostrare l’insussistenza di essa.
Nel merito, occorre ribadire che nel caso di specie la Corte d’appello, respingendo le richieste del dipendente, aveva ritenuto che il pacifico venir meno della causa originaria del pagamento rendeva di per sé fondata l’azione di ripetizione dell’indebito (articolo 2033 del Codice civile), spettando al lavoratore (accipiens) dimostrare il sopravvenire di un nuovo titolo che giustificasse le erogazioni.
Di diverso avviso è stato invece il giudizio della Suprema Corte, la quale ha sottolineato che il principio applicato dal giudice del riesame mal si adatti al caso di specie in cui i presunti indebiti emolumenti si inseriscono nell’ambito di un rapporto di durata. In tale ipotesi, secondo la Cassazione, si deve invece presumere la natura retributiva del reiterato e costante pagamento, spettando al datore di lavoro dimostrare l’insussistenza di tale natura.
Posto che è principio consolidato quello secondo cui spetti al solvens che agisca per ripetizione di indebito dimostrare l’assenza di causa debendi (Cass. 23 agosto 2000, n. 11029; 13 novembre 2003, n. 17146; 10 novembre 2010 n. 22872), il che è incontrovertibile conseguenza della evidente presunzione di giuridicità, in sé, del pagamento, quale effetto del fatto stesso che esso sia avvenuto, nella fattispecie trattata la causa originaria del pagamento, cui nelle buste paga il datore ha continuato ad imputarsi l’erogazione dell’indennità in questione, ovverosia il contributo mensile per spese di viaggio, era venuta meno al momento del cessato distacco del lavoratore.
Ma tale circostanza, sostiene la Cassazione, non può significare che, per i pagamenti intervenuti successivamente, mese per mese, fino alla cessazione del rapporto, spetti all’accipiens dimostrare una diversa causa debendi.
Se infatti è vero che quel titolo originario era venuto meno, è altrettanto vero che l’erogazione è proseguita costantemente per anni.
Peraltro, secondo la giurisprudenza, le erogazioni di cui si assume la natura indebita si inseriscono nell’ambito di un rapporto di durata ed assumono conformazione identica a quella delle obbligazioni pecuniarie tipiche di esso, per cui, conformemente ad un principio più generale, la corresponsione continuativa di un assegno al dipendente è generalmente sufficiente a farlo considerare, salvo prova contraria, come elemento della retribuzione (Cass. 9 maggio 2003, n. 7154).
Pertanto, e a confutazione dell’opposta tesi datoriale, si afferma nella sentenza n. 22387/2018 in esame, che va presunta la natura retributiva di un reiterato e costante pagamento che si verifichi nell’ambito di un rapporto di lavoro, spettando al solvens dimostrare l’insussistenza di essa. Quindi, non potendo la dimostrazione che fare leva su elementi contrari rispetto all’esistenza di quel titolo, dovrebbe provarsi l’effettivo e concreto verificarsi di un errore oppure l’insussistenza o l’inidoneità giuridica dei fatti che la stessa controparte in concreto abbia addotto quale fondamento della persistente attribuzione retributiva.
D'altronde, è principio consolidato quello secondo cui spetti al solvens che agisca per ripetizione di indebito dimostrare l’assenza di causa debendi (Cass. 23 agosto 2000, n. 11029; 13 novembre 2003, n. 17146; 10 novembre 2010 n. 22872), il che è incontrovertibile conseguenza della evidente presunzione di giuridicità, in sé, del pagamento, quale effetto del fatto stesso che esso sia avvenuto.
Spetterà al giudice del rinvio valutare se sia dimostrato o meno ciò che il datore di lavoro era onerato di provare.

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