Contenzioso

Non licenziabile il dipendente che si lamenta per un nuovo incarico

di Lorenzo Zanotti

L'invio di una comunicazione ai propri superiori in cui si esprimono perplessità e sfiducia rispetto a un nuovo incarico non giustifica il licenziamento disciplinare del dipendente. A queste conclusioni è giunta la Corte di cassazione con sentenza 11539/2019, confermando la decisione con cui i giudici di merito hanno riconosciuto, in favore del lavoratore ricorrente, il diritto alla reintegrazione in servizio e al risarcimento del danno.

La società ha contestato al dipendente, un quadro direttivo, di aver inviato a cinque superiori una lettera dal contenuto «polemico ed irrispettoso», nella quale lo stesso avrebbe espresso «scetticismo ed ostilità» rispetto al nuovo incarico affidatogli, il quale prevedeva un periodo di permanenza all'estero. Veniva inoltre addebitato al dipendente di aver «frapposto svariate difficoltà di ordine personale e professionale durante l'intero corso della missione», di aver presentato in ritardo, oltre che con alcune carenze, il progetto che gli era stato chiesto di elaborare al termine dell'incarico, e di essere incorso nella recidiva rispetto a una sanzione disciplinare precedentemente irrogatagli.

I giudici di merito hanno rilevato come non fosse in alcun modo ravvisabile, nei fatti contestati, un carattere di gravità tale da far venir meno il vincolo fiduciario con l'azienda, tanto sotto il profilo della giusta causa che del giustificato motivo soggettivo addotti dalla società.

Dall'esame della corte è emerso infatti come le comunicazioni del dipendente non contenessero espressioni offensive o sgarbate nei confronti dei dirigenti destinatari, ma si limitassero, la prima, ad evidenziare le sue perplessità in merito al nuovo progetto affidatogli, e la seconda, a esprimere le difficoltà che il dipendente aveva riscontrato nel dare esecuzione all'incarico. Queste ultime, peraltro, apparivano giustificate alla luce del lungo periodo di demansionamento dallo stesso subito – già oggetto di un precedente giudizio – oltre che dalla scarsa definizione dell'oggetto dell'incarico e dall'assenza di colloqui preliminari diretti a chiarire le mansioni che il lavoratore avrebbe dovuto espletare nel corso della missione all'estero.

Parimenti andava escluso il disvalore disciplinare degli addebiti mossi al dipendente con riferimento al progetto presentato al termine dell'incarico. La datrice di lavoro, infatti, aveva omesso di provare di aver indicato «una scansione dettagliata, rigida ed ineludibile» delle tempistiche di consegna del progetto, in relazione alla quale fosse possibile contestare al dipendente un effettivo ritardo. Con riguardo al contenuto del documento, peraltro, la società si era limitata a rilevare carenze di carattere puramente formale (in quanto sostanzialmente attinenti a aspetti grafici) e dunque inidonee a configurare un inadempimento del dipendente disciplinarmente rilevante.

Nel ricorrere per Cassazione avverso la decisione, la società ha lamentato come i giudici di merito si fossero limitati a una valutazione «atomistica» dei fatti contestati, senza considerarli invece nella loro concatenazione e rilevanza complessiva, dalla quale sarebbe emerso un persistente e non più tollerabile atteggiamento ostruzionistico e non collaborativo da parte del dipendente. Doglianza, questa, che la Suprema corte non ha ritenuto meritevole di accoglimento.

Secondo i giudici di legittimità, infatti, in presenza di un licenziamento per giusta causa intimato a fronte di una pluralità di addebiti, il giudice di merito, pur dovendo esaminare le condotte contestate non «atomisticamente» ma anche con riferimento alla concatenazione tra tutte «ha altresì l'obbligo di valutare la valenza disciplinare di ogni singola inadempienza, sia pure nel contesto complessivo della contestazione». Operazione che la corte territoriale ha svolto correttamente, avendo preso in considerazione, come era suo onere, i vari comportamenti addebitati al dipendente, per poi valutarli nel contesto consequenziale di cui alla lettera di contestazione.

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