Contenzioso

In caso di annullamento del recesso scatta la reintegra

di Pasquale Dui

In caso di violazione dei criteri di scelta dei lavoratori che devono essere licenziati, così come indicati nell’accordo sindacale o, in assenza di accordo, così come stabiliti dalla legge, i licenziamenti devono ritenersi annullabili, con le conseguenze di legge, anche in applicazione dell’articolo 1441 del Codice civile (articolo 5, comma 3, legge 223/1991; articolo 1, comma 46, legge 92/2012).

Per i rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sorti dal 7 marzo 2015, le conseguenze sanzionatorie del licenziamento collettivo dichiarato illegittimo per violazione dei criteri di scelta sono quelle previste dal Dlgs 23/2015.

Grava sul datore di lavoro l’onere di provare la puntuale osservanza dai criteri di scelta dei lavoratori da licenziare, con la precisazione e specificazione della sottese valutazioni comparative (Cassazione 2188/2001). Le contestazioni che siano state svolte sul punto dal lavoratore interessato, in base alle regole di allegazione, devono presentare un livello minimo di specificità in modo da permettere al datore di lavoro di assolvere l’onere probatorio a suo carico.

È prevista – in caso di accertata violazione dei criteri di scelta – la reintegrazione nel posto di lavoro, oltre a una indennità economica risarcitoria, che non può essere in ogni caso superiore a 12 mensilità della retribuzione globale di fatto. L’indennità spetta dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione nel posto di lavoro, dedotto quanto il lavoratore abbia percepito nelle more in seguito allo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto lo stesso avrebbe potuto percepire dedicandosi alla ricerca di una nuova occupazione.

Per il licenziamento dei lavoratori assunti dal 7 marzo 2015 (articolo 10 del Dlgs 23/2015), gli effetti sanzionatori non prevedono la reintegrazione ma solo un risarcimento di natura economica. In questo senso, il rapporto si intende risolto con la data del licenziamento e al lavoratore compete una indennità economica (esente da contribuzione previdenziale), determinata dal giudice, in misura non inferiore a sei e non superiore a 36 mensilità (Corte costituzionale 194/2018). Vale il principio della piena continuità del rapporto di lavoro, nel senso che non vi è alcuna soluzione di continuità, il rapporto non si interrompe e grava (o permane) l’obbligo di versamento dei contributi previdenziali per il periodo compreso dal giorno del licenziamento fino a quello della reintegrazione.

Quanto ai “vecchi assunti”, va ricordato che il lavoratore può, in alternativa alla reintegrazione, su richiesta specifica da formulare entro 30 giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza o dall’invito dell’azienda a riprendere servizio, chiedere il versamento di una indennità sostitutiva della reintegrazione, pari a 15 mensilità della retribuzione globale di fatto, non soggetta a contribuzione previdenziale (ferma restando la corresponsione dell’indennità risarcitoria).

Una volta emesso l’ordine giudiziale di reintegrazione, il rapporto di lavoro deve intendersi risolto qualora il lavoratore licenziato non abbia ripreso servizio entro 30 giorni dall’invito del datore di lavoro.

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