Contenzioso

La contestazione non deve mai ledere la dignità personale

di Marcello Floris

Secondo la giurisprudenza, l’esercizio del diritto di critica del datore, costituzionalmente tutelato, incontra, nel rapporto di lavoro, limiti non dissimili da quelli previsti in generale per la manifestazione del pensiero: quello della continenza formale, relativo al modo di esposizione del pensiero critico, e quello della continenza sostanziale, attinente la veridicità, pur valutata secondo il parametro soggettivo della verità percepita dall’autore, dei fatti denunciati.

Quel che rileva, infatti, è l’esposizione veritiera e corretta di un fatto nell’esercizio del diritto di manifestazione del pensiero, sia dal punto di vista sostanziale, sia formale. I fatti narrati devono corrispondere a verità, sia pure non assoluta ma soggettiva e, inoltre, l’esposizione deve avvenire in modo misurato, cioè deve essere contenuta negli spazi strettamente necessari all’esercizio del diritto di critica. Tali limiti debbono essere valutati con particolare rigore laddove la critica sia avanzata nell’ambito di una azione sindacale.

La sanzione per il lavoratore che ha travalicato i limiti del diritto di critica, è, nella maggior parte dei casi, il licenziamento per giusta causa. È molto ampio, però, il margine di discrezionalità lasciato ai giudici nel valutare i modi in cui può essere esercitato questo diritto.

Ad esempio, una corte territoriale ha ritenuto fondata la contestazione mossa al dipendente relativa al contenuto, non veritiero e lesivo dell’immagine della banca, di due articoli redatti in materia di welfare aziendale. Il limite era stato ritenuto superato poiché il lavoratore aveva divulgato dati non provandone la effettiva falsità e affidando i propri scritti a un blog e a un account di posta elettronica ad altissima diffusione (Cassazione, sentenza 10897 del 7 maggio 2018).

In un’altra occasione, invece, la corte d’appello aveva ritenuto che il messaggio di testo, inviato al di fuori della prestazione lavorativa dalla dipendente tramite WhatsApp non presentasse caratteri di gravità tali da legittimare la sanzione espulsiva. I giudici hanno considerato infatti che il messaggio si ponesse «sul piano della manifestazione della libertà di pensiero e dell’esercizio del diritto di critica», rispettoso sia della continenza sostanziale, sia della continenza formale, tenuto altresì conto del tipo di linguaggio normalmente utilizzato in tali forme di comunicazione (Cassazione, sentenza 21719 del 6 settembre 2018).

È arrivato, infine, all’ultimo grado di giudizio il caso di una rappresentazione scenica - nell’area antistante il fabbricato aziendale e all’ingresso della sede regionale della Rai - del finto suicidio dell’amministratore delegato della società e del successivo funerale, con affissione di un manifesto ove si attribuivano all’amministratore stesso le morti per suicidio di alcuni lavoratori. In questo caso, la Cassazione ha denunciato l’eccessiva dilatazione del diritto di critica e ha sancito il superamento dei limiti della continenza formale per aver attribuito all’Ad qualità riprovevoli, esponendolo al pubblico ludibrio e superando il limite della tutela della persona umana sancito dall’articolo 2 della Costituzione (Cassazione, sentenza 14527 del 6 giugno 2018).

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