Contenzioso

La ritorsione va provata come unico motivo del licenziamento

di Pasquale Dui

Quando il lavoratore sostiene che il licenziamento subìto sia da considerare ritorsivo, dovrà fornire una prova specifica dell’intento del datore di lavoro, quale unica e determinante ragione del licenziamento stesso. Sul piano sanzionatorio, il riconoscimento del carattere ritorsivo del licenziamento comporta le stesse tutele previste nel caso del licenziamento discriminatorio, cioè la nullità del recesso e la reintegra del lavoratore.

Come è stato più volte ribadito dalla Corte di cassazione, il licenziamento per ritorsione può essere definito come un provvedimento motivato da una ingiusta e arbitraria reazione a un comportamento legittimo del lavoratore. Proprio quest’ultimo ha l’onere di indicare e provare i motivi specifici da cui desumere l’intento ritorsivo quale unico e determinante del recesso.

La motivazione

In particolare, il motivo illecito addotto ex articolo 1345 del Codice civile deve essere:

determinante, cioè costituire l’unica effettiva ragione di recesso;

esclusivo, nel senso che il motivo lecito formalmente addotto risulti insussistente nel riscontro giudiziale.

Ne consegue che la verifica dei fatti allegati dal lavoratore, per l’applicazione della tutela prevista dall’articolo 18, comma 1, dello Statuto dei lavoratori - come modificato - richiede l’accertamento della insussistenza della causale posta a fondamento del licenziamento.

Il licenziamento discriminatorio e quello ritorsivo – accomunati dal motivo illecito determinante dell’atto recessivo – si distinguono per il fatto che il primo prescinde dalla situazione personale del lavoratore, essendo intimato con riguardo al sesso, alla razza, alla religione, a motivi politici e altre condizioni simili. Il recesso che ha carattere ritorsivo, invece, ha consistenza soggettiva e personale, risultando determinato da ragioni vendicative, quale frutto di tensioni e ostilità nei confronti del singolo, con portata eziologica esclusiva.

Quando contesta il licenziamento ritorsivo, il lavoratore deve indicare e provare i profili specifici da cui desumere l’intento ritorsivo quale motivo unico e determinante del recesso, atteso che in questo caso la contestazione ha per oggetto il fatto impeditivo del diritto del datore di lavoro di avvalersi di una giusta causa, o di un giustificato motivo, pur formalmente apparenti.

Come fornire la prova

La prova che il recesso sia stato motivato esclusivamente dall’intento ritorsivo, configurandosi come l’ingiusta reazione a un comportamento legittimo del lavoratore, può essere fornita anche con presunzioni e certamente una di queste è la dimostrazione dell’inesistenza del motivo addotto a giustificazione del licenziamento. Nonostante questo, il licenziamento non può essere considerato ritorsivo per il solo fatto di essere ingiustificato, essendo necessario che il lavoratore provi, anche in via presuntiva, il motivo illecito (ossia contrario ai casi espressamente previsti dalla legge, pur suscettibili di interpretazione estensiva, all’ordine pubblico e al buon costume) unico e determinante.

L’allegazione, da parte del lavoratore, del carattere ritorsivo del licenziamento intimatogli non esonera il datore di lavoro dall’onere di provare, in base all’articolo 5 della legge 604/1966, l’esistenza di una giusta causa o di un giustificato motivo del recesso. Solo quando questa prova sia stata almeno apparentemente fornita, incombe sul lavoratore l’onere di dimostrare l’illiceità del motivo unico e determinante del recesso.

La distinzione dal licenziamento per motivi discriminatori si rinviene nella rilevanza su un piano puramente oggettivo delle ragioni discriminatorie che viziano il licenziamento, a prescindere, quindi, dalla volontà illecita del datore di lavoro, laddove nel licenziamento ritorsivo è invece necessaria la prova del motivo illecito unico e determinante.

In questo senso, qualora il licenziamento sia irrogato per motivi discriminatori, la prova può essere raggiunta anche attraverso dati di carattere statistico (assunzioni, sistemi retributivi, mansioni e qualifiche, progressioni di carriera, licenziamenti) idonei a determinare, in termini precisi e concordanti, la presunzione dell’esistenza di comportamenti o atti discriminatori, agevolando, in questo modo, l’onere della prova del ricorrente e, nello stesso tempo, addossando alla controparte la prova contraria.

Laddove il licenziamento sia addotto come ritorsivo, il lavoratore non potrà riportarsi a dati statistici genericamente riguardati, ma dovrà fornire appunto la prova specifica dell’intento ritorsivo del datore di lavoro quale unica ragione del licenziamento.

Leggi le pronunce

Leggi il testo delle sentenze

Cassazione civile, sezione lavoro, sentenza 23583 del 23 settembre 2019

Cassazione civile, sezione lavoro, sentenza 9468 del 4 aprile 2019

Cassazione civile, sentenza 26035 del 17 ottobre 2018

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©