Contenzioso

La conversione delle false cococo con risarcimento

di Giuseppe Bulgarini d’Elci

Secondo l’articolo 50 della legge 183/2010, il datore di lavoro che, a fronte di un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa invalido, abbia offerto al collaboratore la trasformazione a tempo indeterminato, è tenuto unicamente a un’indennità ricompresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di sei mensilità di retribuzione. Per la Cassazione (sentenza 25582/2019 depositata ieri), tale previsione va intesa nel senso che essa non preclude il diritto del lavoratore alla conversione del rapporto. La Suprema corte risolve in questo modo il contrasto sulla corretta interpretazione dell’articolo 50.

Secondo un indirizzo, la misura risarcitoria costituisce l’unico rimedio cui il lavoratore ha diritto per effetto della sentenza che accerta la natura subordinata di una collaborazione coordinata e continuativa non genuina, se ha in precedenza rifiutato la stabilizzazione del rapporto spontaneamente offerta dal datore di lavoro.

La Cassazione rigetta questa interpretazione e sposa la tesi per cui l’indennità ricompresa tra 2,5 e sei mensilità incide unicamente sul risarcimento a cui il lavoratore ha diritto per il periodo ricompreso tra l’ingiustificata estromissione dal fittizio rapporto di collaborazione e la data della sentenza che ne abbia accertato la natura subordinata.

La Cassazione è consapevole della incerta e zoppicante formulazione dell’articolo 50, nella parte in cui afferma che il datore di lavoro, dopo aver attivato la doppia offerta di stabilizzazione del rapporto, «è unicamente tenuto ad indennizzare il lavoratore con l’importo compreso tra 2,5 e sei mensilità».

Ad avviso della Suprema corte l’avverbio «unicamente» non può essere inteso nel senso di escludere la conversione del rapporto di collaborazione in un rapporto subordinato a tempo indeterminato, né di inibire il risarcimento del danno ulteriore successivo alla sentenza. In caso contrario, si produrrebbe la lesione dei principi (di rango costituzionale) della effettività e adeguatezza delle sanzioni riconnesse alla violazione di norme inderogabili in materia di lavoro.

La Cassazione osserva, inoltre, che l’interpretazione contraria di un indennizzo satisfattivo di ogni ulteriore rimedio (anche ripristinatorio del rapporto di lavoro) si porrebbe in conflitto con il diritto di difesa (articolo 24 della Costituzione) e impedirebbe il raggiungimento di un ragionevole contemperamento dei contrapposti interesse delle parti.

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