Contenzioso

Dalla somma certa all’importo variabile

di Giampiero Falasca

La normativa sulle tutele crescenti è ancora molto recente (il Dlgs 23 è entrato in vigore il 7 marzo del 2015) ma è già profondamente cambiata rispetto al suo assetto originario.

La doppia modifica introdotta nel 2018 dal decreto dignità e dalla sentenza 194/2018 della Corte costituzionale ha, infatti, spazzato via il meccanismo di calcolo automatico dei risarcimenti spettanti in caso di invalidità del licenziamento, ripristinando - in forme più convenienti per il lavoratore - il sistema dell’articolo 18, caratterizzato da una soglia minima e una massima entro la quale il giudice può muoversi in maniera discrezionale per la quantificazione del risarcimento.

Per capire in concreto la portata del cambiamento, ipotizziamo cosa accadrebbe nei diversi sistemi sanzionatori a un dipendente con anzianità lavorativa di 5 anni e retribuzione mensile globale di fatto di 3mila euro lordi che fosse licenziato per soppressione del posto di lavoro (quindi, per giustificato motivo oggettivo).

Qualora tale lavoratore agisse in giudizio per far accertare l’invalidità del licenziamento, e nel caso in cui ottenesse il riconoscimento della sola tutela risarcitoria (senza, quindi, la reintegrazione), le somme spettanti sarebbero molto diverse secondo il tipo di regime sanzionatorio effettivamente applicato.

Con il regime iniziale delle tutele crescenti, il lavoratore vittorioso avrebbe diritto a ricevere un’indennità risarcitoria pari a 10 mensilità (corrispondente, nell’esempio, a 30mila euro lordi).

Applicando invece il regime delle tutele crescenti oggi vigente, la quantificazione del risarcimento spettante sarebbe totalmente rimessa alla valutazione del giudice, vincolato solo da alcuni “paletti”minimi (non potrebbe andare sotto le 6 mensilità, pari a 18mila euro lordi, e non potrebbe superare le 36 mensilità, pari a 108mila euro lordi), e da alcuni parametri, meramente indicativi, prefissati dalla legge.

Lo scenario cambierebbe ancora nel caso in cui quel licenziamento ricadesse nel campo di applicazione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. In questa ipotesi, il giudice potrebbe quantificare il risarcimento, in maniera discrezionale, in una somma compresa tra le 12 mensilità (pari a 36mila euro lordi, nel caso del lavoratore dell’esempio) e le 24mensilità (pari a 72mila euro lordi).

Le somme cambiano, quindi, in modo rilevante da un regime all’altro, anche se c’è un elemento comune: la grande discrezionalità assegnata al giudice.

Questo elemento può generare una forte sensazione di incertezza tra le parti e potrebbe suggerire il ricorso alla conciliazione della controversia. Tale strumento, tuttavia, vive oggi un momento di difficoltà perché gli incentivi fiscali previsti per chi ricade nelle tutele crescenti sono diventati poco significativi rispetto ai risarcimenti teoricamente spettanti, e le procedure di conciliazione presso l’Ispettorato del lavoro, che pure stavano funzionando bene, sono rimaste in vita solo per chi ricade nel campo dell’articolo 18.

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