Contenzioso

Licenziamento per giusta causa e proporzionalità della sanzione

a cura di Toffoletto De Luca Tamajo e Soci

Licenziamento orale
Licenziamento disciplinare e spaccio di stupefacenti
Licenziamento per giusta causa, proporzionalità della sanzione
Responsabilità solidale del committente per i crediti di lavoro dei dipendenti del subfornitore
Servizi di sicurezza aeroportuale e diritto di sciopero


Licenziamento orale

Cass. Sez. Lav. 4 ottobre 2019, n. 24874

Pres. Bronzini; Rel. De Gregorio; P.M. Celentano; Ric. C.V. A.S.D. e F.C.; Controric. A.H.;

Licenziamento orale – Natura giuridica – Inesistenza – Continuazione del rapporto lavorativo – Sussiste – Impugnazione – Termine di decadenza – Inapplicabilità.

Il licenziamento intimato oralmente deve ritenersi giuridicamente inesistente e come
tale, da un lato, non richiede l'impugnazione nel termine di decadenza di cui all'art. 6 della legge n. 604 del 1966, e, dall'altro, non incide sulla continuità del rapporto di
lavoro e quindi sul diritto del lavoratore alla retribuzione fino alla riammissione in servizio. Tale interpretazione va mantenuta ferma anche a seguito della riforma del citato art. 6, per effetto dell'art. 32 della legge n. 183/2010, il quale fissa il dies a quo del termine di sessanta giorni dalla ricezione della comunicazione del licenziamento "in forma scritta, ovvero dalla comunicazione, anche se in forma scritta, dei motivi, ove non contestuale, con qualsiasi atto scritto anche extragiudiziale. Ne consegue che, in caso di licenziamento orale, mancando l'atto scritto da cui il legislatore del 2010, con espressa previsione, fa decorrere il termine di decadenza, il lavoratore può agire per far valere l'inefficacia del licenziamento senza l'onere della previa impugnativa stragiudiziale del licenziamento stesso.
NOTA
Una lavoratrice conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Lucca, nelle forme del c.d. Rito Fornero, un'associazione sportiva dilettantistica (e il relativo presidente) a favore della quale aveva prestato attività lavorativa, dal 2012, in forza di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa, al fine di sentir dichiarare la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato nonché l'illegittimità del licenziamento comunicatole in forma orale. Il contratto di collaborazione sportiva, a tempo determinato, aveva ad oggetto lo svolgimento di attività di insegnamento e corsi di ginnastica nonché di aerobica.
Il Tribunale, all'esito della fase a cognizione sommaria, con decisione confermata anche nella successiva fase di opposizione, accoglieva il ricorso della lavoratrice, dichiarando la natura subordinata del rapporto e la nullità del recesso orale, con conseguente condanna, in solido, dell'associazione e del relativo presidente alla reintegrazione della dipendente nel posto di lavoro e al pagamento delle retribuzioni medio tempore maturate.
La riqualificazione del rapporto come subordinato veniva motivata, sulla base delle risultanze istruttorie, in ragione dell'accertata mancanza, in capo alla lavoratrice, delle conoscenze e dei titoli necessari per lo svolgimento di tale attività sportive nonché per lo svolgimento di attività – come quelle di addetta alle pulizie – del tutto estranee all'oggetto contrattuale.
La Corte d'appello di Firenze, confermava la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato e la nullità del licenziamento orale, accertando il diritto della dipendente ad ottenere, come dalla stessa richiesto, il pagamento dell'indennità pari a quindici mensilità, in luogo della reintegrazione nel posto di lavoro.
Avverso tale decisione ricorrevano in cassazione l'associazione e anche il relativo presidente, in proprio; la dipendente resisteva con controricorso.
Per quanto interessa ai fini della presente nota, i ricorrenti, tra gli altri motivi, lamentavano violazione e falsa applicazione dell'art. 6, comma 2, legge 604/1966 per aver i giudici di merito omesso di dichiarare l'intervenuta decadenza della lavoratrice. A tal fine, deducevano che quest'ultima, dopo aver tempestivamente impugnato l'asserito licenziamento orale nei sessanta giorni successivi e aver avviato, nei 180 giorni successivi, la procedura di conciliazione monocratica avanti all'Ispettorato Territoriale del Lavoro, conclusosi con esito negativo, aveva omesso di depositare il ricorso giudiziale entro il termine decadenziale di 60 giorni dal verbale di mancato accordo.
La Suprema Corte ha cassato il ricorso, ribadendo il principio di diritto (già affermato, tra le altre, nelle ordinanze n. 523 del 11 gennaio 2019 e n. 25561 del 12 ottobre 2018) secondo cui l'azione per far valere l'inefficacia del licenziamento orale non è subordinata ad alcun termine di decadenza, in quanto, da un lato, si tratta di un atto giuridicamente inesistente e, dall'altro, per mancanza del presupposto fattuale, consistente nella forma scritta attraverso la quale viene manifestata la volontà datoriale di scioglimento del rapporto, dal quale l'art. 6 legge 604/1966 (come modificata dall'art. 32 legge 183/2010) fa decorrere il termine di decadenza. Infatti, tale norma fissa il dies a quo del termine di sessanta giorni dalla ricezione della comunicazione del licenziamento «in forma scritta, ovvero dalla comunicazione, anche se in forma scritta,
dei motivi, ove non contestuale, con qualsiasi atto scritto anche extragiudiziale».

Licenziamento disciplinare e spaccio di stupefacenti

Cass. Sez. Lav. 7 ottobre 2019, n. 24976

Pres. Nobile; Rel. Negri Della Torre; P.M. Celeste; Ric. P.L.; Controric. F.C.A.I. S.p.A.;

Lavoro subordinato - Estinzione del rapporto - Licenziamento individuale - Per giusta causa - Giudizio di proporzionalità - Violazione degli obblighi di correttezza e buona fede - Lesione vincolo fiduciario - Sussistenza - Fattispecie.

Il giudizio di proporzionalità tra fatto addebitato al lavoratore e licenziamento disciplinare non va effettuato in astratto, bensì con specifico riferimento a tutte le circostanze del caso concreto. È quindi legittimo il licenziamento per giusta causa del dipendente che sia rimasto assente dal lavoro per quattordici giorni, in quanto arrestato per spaccio di stupefacenti, senza comunicarne le effettive ragioni al datore di lavoro. Si tratta, infatti, di una condotta di gravissima violazione degli obblighi di correttezza e di buona fede nell'esecuzione del rapporto e di un comportamento di gravità tale da determinare il venir meno del vincolo fiduciario.
NOTA
Il caso di specie riguarda il licenziamento per giusta causa intimato ad un dipendente per aver informato tardivamente il datore di lavoro in merito al proprio stato di privazione della libertà personale (nello specifico, il lavoratore, arrestato per detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, aveva informato di tale circostanza la società solo due settimane dopo l'arresto).
La Corte d'appello di Roma, riformando la sentenza di primo grado, dichiarava legittimo il licenziamento, osservando come anche il solo fatto di essere rimasto assente dal lavoro per quattordici giorni, senza comunicarne le effettive ragioni al datore di lavoro, costituisse violazione degli obblighi di correttezza e buona fede che incombono sul dipendente nell'esecuzione del rapporto di lavoro e che detta condotta, imponendo un giudizio prognostico negativo circa la correttezza del futuro adempimento, fosse di gravità tale da determinare il venir meno del vincolo fiduciario e, conseguentemente, giustificare il recesso del datore di lavoro.
La Corte di Cassazione, adita dal lavoratore, ha innanzitutto richiamato il consolidato orientamento secondo cui il giudizio di proporzionalità tra fatto addebitato al lavoratore e licenziamento disciplinare non va effettuato in astratto, bensì con specifico riferimento a tutte le circostanze del caso concreto, all'entità della mancanza (considerata non solo da un punto di vista oggettivo, ma anche nella sua portata soggettiva e in relazione al contesto in cui essa è stata posta in essere), ai moventi, all'intensità dell'elemento intenzionale e al grado di quello colposo.
D'altra parte, gli artt. 2104 e 2105 cod. civ., richiamati dalla disposizione dell'art. 2106 relativa alle sanzioni disciplinari, non vanno interpretati restrittivamente e non escludono che il dovere di diligenza del lavoratore subordinato si riferisca anche ai vari doveri strumentali e complementari che concorrono a qualificare il rapporto obbligatorio di durata avente ad oggetto un facere, e che l'obbligo di fedeltà vada inteso in senso ampio e si estenda a comportamenti che per la loro natura e le loro conseguenze appaiano in contrasto con i doveri connessi all'inserimento del lavoratore nella struttura e nell'organizzazione dell'impresa o creino situazioni di conflitto con le finalità e gli interessi dell'impresa.
La Corte ha quindi richiamato l'altrettanto consolidato principio secondo cui, in tema di procedimento disciplinare, il giudizio di proporzionalità tra violazione contestata e provvedimento adottato si sostanzia nella valutazione della gravità dell'inadempimento del lavoratore e dell'adeguatezza della sanzione, tutte questioni di merito che, ove risolte dal giudice di appello con apprezzamento in fatto adeguatamente giustificato e con motivazione esauriente e completa, si sottraggono al riesame in sede di legittimità (cfr. Cass. n. 8293/2012).
Ebbene, conclude la Corte, nel caso di specie, la Corte d'Appello ha correttamente applicato i suddetti principi, accertando, con motivazione esente da vizi, che la condotta del lavoratore fosse stata in concreto tale da ledere il vincolo fiduciario. Per tali motivi, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso.

Licenziamento per giusta causa, proporzionalità della sanzione

Cass. Sez. Lav. 2 ottobre 2019, n. 24619

Pres. Nobile; Rel. Negri della Torre; P.M. Celeste; Ric. D.T. S.r.l.; Controric. G.S.

Lavoro subordinato - Licenziamento individuale - Giusta causa - Proporzionalità della sanzione - Accertamento della giusta causa - Vincolo di fiducia - Fattispecie

Per stabilire se sussiste la giusta causa di licenziamento con specifico riferimento al requisito della proporzionalità della sanzione occorre accertare in concreto se - in relazione alla qualità del singolo rapporto intercorso tra le parti, alla posizione che in esso abbia avuto il prestatore d'opera e, quindi, alla qualità e al grado del particolare vincolo di fiducia che quel rapporto comportava - la specifica mancanza commessa dal dipendente, considerata e valutata non solo nel suo contenuto obiettivo, ma anche nella sua portata soggettiva, risulti obiettivamente e soggettivamente idonea a ledere in modo irreparabile la fiducia del datore di lavoro.
NOTA
Nel caso in esame, la Corte di appello di Genova accoglieva il reclamo di una lavoratrice licenziata per giusta causa e condannava la Società al pagamento di un'indennità risarcitoria.
Per la Corte, i fatti che avevano condotto al licenziamento disciplinare della lavoratrice (i.e. l'abuso di potere consistito nell'introdurre nel negozio e nel farsi confezionare da una sarta di fiducia un abito identico a un modello in vendita; lo svolgimento telefonico di attività di cartomanzia in orario di lavoro; l'avere messo da parte e occultato capi di abbigliamento e altri oggetti destinati alla vendita; l'avere indossato capi destinati alla vendita durante l'orario di lavoro; l'essersi ripetutamente assentata dal negozio senza autorizzazione; l'avere ripetutamente rimproverato e mortificato le colleghe alla stessa sottoposte, in particolare non prestando soccorso a una commessa che si era sentita male e anzi rivolgendole offese e costringendo due colleghe, che stavano consumando il pranzo sul tavolo del magazzino, a mangiare su un cartone appoggiato sul pavimento), non erano stati sufficientemente provati e, valutati nel loro complesso, non sembravano risultare di gravità tale da giustificare il licenziamento.
Avverso la sentenza della Corte di appello proponeva ricorso la Società; il ricorso è stato accolto dalla Suprema Corte.
Secondo la Cassazione per stabilire se la sanzione del licenziamento per giusta causa è proporzionata al fatto contestato occorre accertare se il comportamento, valutato anche nella sua portata soggettiva, risulti idoneo a ledere in modo irreparabile la fiducia del datore di lavoro. La sentenza impugnata ha omesso tale valutazione, esaminando solo i singoli fatti oggetto di contestazione disciplinare e giungendo alla conclusione che non sarebbero stati di gravità tale da giustificare il recesso senza preavviso.
Nel caso in esame, conclude la Cassazione, non può essere accolta la ricostruzione della Corte territoriale posto che la valutazione complessiva delle condotte ascritte alla lavoratrice e il disvalore ambientale dei comportamenti assunti nella posizione professionale rivestita, hanno costituito una giusta causa di recesso.

Responsabilità solidale del committente per i crediti di lavoro dei dipendenti del subfornitore

Cass. Sez. Lav. 8 ottobre 2019, n. 25172

Pres. Manna; Rel. Mancini; P.M. Celeste; Ric. I.N.P.S.; Controric. A.G.

Contratto di subfornitura – Crediti di lavoro dei dipendenti del subfornitore - Responsabilità solidale del committente - Sussiste

La ratio dell'introduzione della responsabilità solidale del committente - che è quella di evitare il rischio che i meccanismi di decentramento, e di dissociazione fra titolarità del contratto di lavoro e utilizzazione della prestazione, vadano a danno dei lavoratori utilizzati nell'esecuzione del contratto commerciale - non giustifica una esclusione (che si porrebbe, altrimenti, in contrasto con il precetto dell'art. 3 Cost.) della predisposta garanzia nei confronti dei dipendenti del subfornitore, atteso che la tutela del soggetto che assicura una attività lavorativa indiretta non può non estendersi a tutti i livelli del decentramento.
NOTA
La Corte di Appello di Venezia confermava la sentenza di primo grado che aveva ritenuto l'imprenditore committente non obbligato, alla stregua dell'art. 29 comma 2 del d.lgs. n. 276 del 2003, al versamento dei contributi omessi dal datore di lavoro, sul presupposto dell'inapplicabilità al subfornitore della disciplina della responsabilità solidale del committente.
La Corte di merito, dopo aver premesso che si era verificata nella specie la stipulazione di contratti di subfornitura ex lege n. 192 del 1998, riteneva che poiché il legislatore aveva dettato un'autonoma disciplina per la subfornitura, a detto contratto non si potesse estendere la disciplina sulla responsabilità solidale del committente, in ragione dell'evidente differenza tra la figura contrattuale della subfornitura e quella dell'appalto, e considerata altresì l'inapplicabilità, in via analogica, della disciplina derogatoria prevista dalla legge n. 276 del 2003.
Avverso tale pronuncia proponeva ricorso l'istituto previdenziale sulla base di due motivi.
In particolare, l'ente previdenziale, deduceva la violazione dell'art. 29, commi 1 e 2, d.lgs. n. 276 del 2003 e dell'art. 1655 c.c., assumendo che l'ambito di applicazione dell'art. 29 del citato d.lgs. n. 276 dovesse estendersi a tutte le situazioni in cui i lavoratori, pur se assunti alle dipendenze di un determinato datore di lavoro, prestino la propria attività in favore di un altro datore di lavoro.
La Suprema Corte ha accolto il ricorso, anche alla luce della pronuncia del Giudice delle leggi intervenuta in materia (cfr. Corte Cost. n. 254 del 2017).
La Suprema Corte - dopo aver premesso che la l. 18 giugno 1998 n. 192 (disciplina della subfornitura nelle attività produttive) risponde ad una funzione regolativa dell'integrazione della prestazione del subfornitore nel processo produttivo dell'impresa committente "in conformità a progetti esecutivi, conoscenze tecniche e tecnologiche, modelli o prototipi" forniti dall'impresa medesima -, ha ripercorso i diversi orientamenti venutisi a formare, anche nell'ambito della stessa giurisprudenza di legittimità, riguardo alla configurazione giuridica ed all'inquadramento sistematico del contratto di subfornitura, in particolare quanto al profilo della sua autonomia o meno rispetto al contratto di appalto.
La Suprema Corte ha rilevato che, secondo un primo orientamento della dottrina, vì sarebbe un rapporto di species a genus, nel senso che la subfornitura non costituirebbe altro che un «sottotipo», se non un equivalente, del contratto di appalto, ovvero uno schema generale di protezione nel quale possono rientrare plurime figure negoziali in senso trasversale, tra cui l'appalto.
Secondo altro indirizzo interpretativo vi sarebbe, invece, tra i rispettivi schemi negoziali, una sostanziale differenza e proprio la "dipendenza tecnologica", presente nel contratto di subfornitura, segnerebbe il discrimine rispetto all'appalto, che comporta, invece, un'autonomia dell'appaltatore nella scelta delle modalità operative attraverso le quali conseguire il risultato richiesto ed atteso dal committente.
Anche la giurisprudenza di legittimità, come dato atto dal Giudice delle leggi, ha seguito orientamenti non univoci.
In particolare, Cass. 29 maggio 2008, n. 14431 ha affermato che il rapporto di subfornitura - enucleato al fine di dare adeguata tutela, a fronte di abusi che determinino un eccessivo squilibrio nei diritti e negli obblighi delle parti, alle imprese che lavorino in stato di dipendenza economica rispetto ad altre - riguarda il fenomeno meramente economico della cosiddetta integrazione verticale fra imprese, ma è riferibile ad una molteplicità di figure negoziali - a volte estremamente eterogenee -, da individuarsi caso per caso, potendo assumere i connotati del contratto di somministrazione, della vendita di cose future, dell'appalto d'opera o di servizi, ecc..
Altra più recente pronuncia (cfr. Cass. 25 agosto 2014, n. 18186) ha attribuito connotati di specificità al contratto di subfornitura, come forma non paritetica di cooperazione imprenditoriale, nella quale la dipendenza economica del subfornitore si palesa, oltre che sul piano del rapporto commerciale e di mercato, anche su quello delle direttive tecniche di esecuzione. Ed infatti, l'inserimento del subfornitore, sebbene in forza di un'opzione organizzativa di esternalizzazione, in un determinato livello del processo produttivo proprio del committente, non può non implicare l'assoggettamento della prestazione di subfornitura all'osservanza di più o meno penetranti (a seconda della natura della lavorazione e del prodotto) direttive tecniche del committente.
Una volta ripercorsi i diversi orientamenti in materia, la Suprema Corte ha dunque osservato che, pur nella riferita duplicità di opzioni interpretative, va comunque affermata l'estensione della responsabilità solidale del committente ai crediti di lavoro dei dipendenti del subfornitore.
I giudici di legittimità hanno rilevato che la stessa ratio dell'introduzione della responsabilità solidale del committente - consistente nell' evitare il rischio che i meccanismi di decentramento, e di dissociazione fra titolarità del contratto di lavoro e utilizzazione della prestazione, vadano a danno dei lavoratori utilizzati nell'esecuzione del contratto commerciale -, non giustifica una esclusione (che si porrebbe, altrimenti, in contrasto con il precetto dell'art. 3 Cost.) della predisposta garanzia nei confronti dei dipendenti del subfornitore, atteso che la tutela del soggetto che assicura un'attività lavorativa indiretta non può non estendersi a tutti i livelli del decentramento.
In conclusione, la Suprema Corte ha ritenuto che la Corte territoriale non si fosse attenuta all'interpretazione costituzionalmente adeguata delle richiamate disposizioni, nel senso della responsabilità solidale del committente anche con il subfornitore relativamente ai crediti lavorativi, contributivi e assicurativi dei dipendenti di questi.

Servizi di sicurezza aeroportuale e diritto di sciopero

Cass. Sez. Lav. 2 ottobre 2019, n. 24633

Pres. Nobile; Rel. Blasutto; P.M. Celeste; Ric. V.G.V. s.p.a.; Controric. F.C P.V.;

Servizi di sicurezza aeroportuale – Disciplina dello sciopero nei servizi pubblici essenziali – Applicabilità – Conseguenze – Necessità di rispetto da parte degli addetti delle misure dirette a consentire l'erogazione delle prestazioni indispensabili – Limiti – Non applicabilità delle norme in materia di raffreddamento e conciliazione

I servizi di sicurezza aeroportuale rientrano nell'ambito dei servizi pubblici essenziali indicati nella L. n. 146 del 1990, art. 1 e il diritto di sciopero che interessa tali servizi è esercitato nel rispetto di misure dirette a consentire l'erogazione delle prestazioni indispensabili per garantire le finalità di cui del medesimo art. 1, comma 2, con esclusione delle procedure di raffreddamento e conciliazione, nei termini previsti dalla regolamentazione provvisoria del trasporto aereo.
NOTA
La Corte di Appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale di Busto Arsizio di rigetto dell'opposizione proposta da un istituto di vigilanza avverso il decreto emesso ex art. 28 Stat. lav. con cui era stata accertata l'antisindacalità del comportamento dell'azienda che: a) aveva affisso nella bacheca aziendale una comunicazione a tutto il personale operativo nella sede dell'aeroporto in cui si dichiarava che per la giornata successiva non era stata indetta alcuna azione di sciopero; b) aveva intrapreso un'azione disciplinare nei confronti del personale aderente all'agitazione sindacale. In particolare i giudici territoriali ritenevano strumentale e dissuasivo il comunicato della società, in quanto il riferimento alla mancata adesione allo sciopero riguardava il trasporto aereo, ossia un settore diverso da quello della vigilanza privata cui appartiene la società appellante, e si riferiva ad una organizzazione sindacale diversa. Inoltre, secondo la corte di merito, non vi era necessità di previo espletamento delle procedure preliminari, poichè la Commissione di garanzia aveva chiarito che, al servizio di sicurezza aeroportuale, non si applicano le procedure di conciliazione previste per il trasporto aereo, ma quelle del settore vigilanza. La Corte concludeva, pertanto, per la legittimità dello sciopero e per la antisindacalità della condotta datoriale, dichiarando l'illegittimità delle sanzioni disciplinari irrogate ai lavoratori che vi avevano aderito.
Avverso tale sentenza la società ha proposto ricorso per Cassazione deducendone l'erroneità per avere i giudici del merito considerato le attività svolte dal personale addetto al servizio di sicurezza aeroportuale come attività di vigilanza tout court e non come attività rientranti, ai fini dell'esercizio del diritto di sciopero, nel settore del trasporto aereo.
La Suprema Corte accoglie il ricorso ed effettua una ricostruzione della disciplina dello sciopero nei servizi pubblici essenziali e della ratio ad essa sottesa, evidenziando che la L. n. 146 del 1990 ha il precipuo scopo di tutelare beni fondamentali della persona ed impone, quindi, giustificate limitazioni dirette ad evitare la compromissione di funzioni da considerare essenziali per il loro carattere di preminente interesse generale, conseguentemente vanno disattese interpretazioni che possano minare l'effettività del godimento, nel loro contenuto fondamentale, dei diritti medesimi (Cass. 28 gennaio 2019, n. 2298). In questa direzione un servizio, sebbene non espressamente citato nell'elenco - non tassativo - contenuto nella L. 146/90 è qualificabile come servizio pubblico essenziale quando è funzionale alla tutela di beni di ancor maggiore rilievo costituzionale, quali la vita e la sicurezza delle persone (Cass. 8 agosto 2011 n. 17082 che ha ritenuto tale il servizio di rimorchio nell'ambito dei porti).
A parere della Cassazione la sentenza impugnata trascura di considerare il punto fondamentale della questione, ossia che la disciplina di regolamentazione dello sciopero nei servizi pubblici essenziali si applica anche agli scioperi riguardanti il personale addetto alla vigilanza e ai controlli, con la "sola" esclusione delle procedure di raffreddamento e conciliazione, pertanto l'effettiva osservanza delle procedure preliminari previste per la vigilanza privata non rende per ciò solo legittima l'adesione allo sciopero da parte del personale addetto ai servizi di vigilanza operanti nel servizio di sicurezza nel settore del trasporto aereo. Deve, quindi ritenersi che l'attività riguardante i controlli di sicurezza, funzionali al trasporto aereo delle merci, sia riconducibile nei servizi aeroportuali, difatti, tra i servizi pubblici essenziali da garantire in caso di sciopero sono stati previsti quelli di sicurezza aeroportuali, ivi compreso il controllo degli accessi al varco. Ne consegue che, in caso di sciopero del personale addetto alle suddette attività, trova applicazione la regolamentazione provvisoria del trasporto aereo, con la sola esclusione delle norme in materia di raffreddamento e conciliazione.
La sentenza impugnata viene quindi cassata con rinvio per il riesame del merito con applicazione del principio di diritto riportato nella massima.

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