Contenzioso

Non licenziabile il lavoratore occupato obbligatoriamente se si scende sotto la quota di riserva

di Vittorio De Luca e Antonella Iacobellis

La Corte di cassazione, con la sentenza 26029 del 15 ottobre 2019, riconferma che deve considerarsi annullabile il recesso nell'ambito di una procedura collettiva di riduzione del personale di un lavoratore occupato obbligatoriamente, se al momento della cessazione del rapporto il numero dei rimanenti occupati obbligatoriamente sia inferiore alla quota di riserva e chiarisce che le conseguenze di predetta annullabilità del licenziamento devono essere ricondotte a quelle attivabili in caso di recesso illegittimo per accertata la violazione dei criteri di scelta.

Il caso sul quale è stata chiamata a pronunciarsi la Corte di legittimità si riferisce a un dipendente assunto in base alla normativa sul collocamento obbligatorio, licenziato nell'ambito di una procedura collettiva.

Le corti territoriali in primo e secondo grado chiamate a decidere sulla domanda del lavoratore volta a ottenere una dichiarazione di illegittimità del licenziamento con ogni conseguenza di legge, avevano accolto la richiesta, condannando la società alla reintegrazione dello stesso nel posto di lavoro e al pagamento di una indennità risarcitoria pari a 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto.

In particolare, la Corte di appello di Roma aveva confermato la decisione di primo grado sulla base dell'assunto secondo cui risultava indiscusso che si trattasse di un lavoratore obbligatoriamente assunto, della circostanza da considerarsi ormai pacifica con forza di giudicato interno, non avendo il datore di lavoro fornito prova contraria sul punto, che al momento della cessazione del rapporto il numero dei rimanenti lavoratori occupati obbligatoriamente fosse inferiore alla quota di riserva.

Avverso la sentenza della Corte d'appello di Roma, la società ha depositato ricorso in Cassazione, sorretto da un unico motivo. Il datore di lavoro ha sostenuto di non aver selezionato il soggetto invalido per esodarlo, ma di aver applicato una clausola della convenzione sindacale che prevedeva l'esternalizzazione del reparto cui era addetto e di aver comunque offerto al dipendente la ricollocazione nello stesso sito produttivo e nelle stesse mansioni già espletate, alle dipendenze della società appaltatrice del reparto, offerta che era stata rifiutata.

La Cassazione, nel rigettare il motivo di impugnazione del datore di lavoro, riprendendo il dettato dell'articolo 10, comma 4, della legge 68 del 1999 secondo cui il recesso di cui all'articolo 4, comma 9, della legge 23 luglio 1991, numero 223, ovvero il licenziamento per riduzione di personale o per giustificato motivo oggettivo, esercitato nei confronti del lavoratore occupato obbligatoriamente, sono annullabili qualora, nel momento della cessazione del rapporto, il numero dei rimanenti lavoratori occupati obbligatoriamente sia inferiore alla quota di riserva prevista all'articolo 3 della presente legge, precisa quanto segue.

In particolare, all'ipotesi di licenziamento in esame – collettivo per riduzione del personale – è applicabile la tutela rinvenuta nell’articolo 5, comma 3, della legge 223/1991, come sostituito dall’articolo 1, comma 46, della legge 92/2012, in base al quale «qualora il licenziamento sia intimato senza l'osservanza della forma scritta, si applica il regime sanzionatorio di cui all'articolo 18, primo comma, della legge 20 maggio 1970, numero 300, e successive modificazioni. In caso di violazione delle procedure richiamate all'articolo 4, comma 12, si applica il regime di cui al terzo periodo del settimo comma del predetto articolo 18. In caso di violazione dei criteri di scelta previsti dal comma 1, si applica il regime di cui al quarto comma del medesimo articolo 18».

Nel dettaglio, si legge nella sentenza, il caso concreto in esame è ascrivibile all'ipotesi astratta dell'annullamento del recesso per violazione dei criteri di scelta che sussiste «allorquando i criteri di scelta siano, ad esempio, illegittimi, perché in violazione di legge, o illegittimamente applicati, perché attuati in difformità dalle previsioni legali o collettive» (Cassazione 12095/2016).

E non può considerarsi legittima la scelta del datore di lavoro che, in violazione a una disposizione di legge, include tra i licenziandi un dipendente occupato obbligatoriamente scendendo sotto il limite della quota di riserva.

Se da un lato quindi, sussiste il legittimo interesse dell'imprenditore al ridimensionamento dell'organico allo scopo di fronteggiare una situazione di crisi economica, dall'altro non può non tenersi conto dell'interesse del lavoratore assunto obbligatoriamente alla conservazione del posto di lavoro.

Per garantire dunque la protezione del lavoratore assunto obbligatoriamente si richiede un ragionevole sacrificio al datore di lavoro: ed è questa la ratio dell’articolo 10, comma 4, della legge 68 del 1999 che si inserisce in un quadro normativo, anche di profilo internazionale, che è volto alla promozione dell'inserimento e della integrazione lavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro.

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