Contenzioso

Datore responsabile per i comportamenti razzisti sul luogo di lavoro

Il datore di lavoro deve adottare tutte le misure necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro. Tra le sue responsabilità, quella di assicurare un ambiente lavorativo nel quale non siano perpetrati soprusi, trattamenti degradanti, umilianti e discriminatori.

di Vincenzo Fabrizio Giglio

Linea dura del tribunale di Milano contro il razzismo nei luoghi di lavoro. I fatti portati all'attenzione del giudice del lavoro si sono verificati in una pizzeria; vittime, alcuni lavoratori di origine africana e di colore addetti a mansioni manuali: servizio al banco, cameriere e apprendista pizzaiolo.

Secondo quanto è stato accertato, alcuni loro colleghi, più anziani e italiani, si sono prodotti in comportamenti discriminatori imperniati sull'origine culturale ed etnica. Il menu servito ai lavoratori era costituito da appellativi ed espressioni quali «africani di m…», «negro di m…», «perché siete venuti in Italia», «ti rimando in Africa» e cosi via.

Un episodio, tra gli altri, ha costituito il centro della vicenda, umana e processuale. Dopo aver talora detto ai colleghi: «devo comperare il deodorante per voi», nel gennaio 2019 il pizzaiolo-capo era passato ai fatti portando in cucina uno spray deodorante e invitando i malcapitati a sollevarsi la maglietta per spruzzare loro sul corpo il prodotto.

Questo episodio fu ripreso con il cellulare da uno dei presenti (che nel contempo plaudiva giocoso alla «disinfestazione») e postato su Facebook: da dove il giudice ha poi acquisito il video agli atti del processo. Il video, tuttora disponibile in rete, rende, meglio di molte descrizioni, il tratto scarsamente cameratesco dell'azione per lasciare piuttosto l'acre sensazione di un vissuto – presumibilmente abituale o quantomeno frequente – di umiliazione inflitta a persone colte nell'esecuzione del proprio lavoro. Proprio a seguito di tale video, infatti, i lavoratori di colore hanno deciso di rivolgersi al tribunale.

Essi hanno invocato, tra l'altro, la tutela offerta da alcune delle norme contro la discriminazione vigenti nel nostro ordinamento e, in particolare, l'articolo 2, comma 3, del Dlgs 215/2003 che, descrivendo quasi esattamente il caso, riconduce alla nozione di discriminazione «anche le molestie ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per motivi di razza o di origine etnica, aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo».

Il tribunale, con sentenza del 24 gennaio 2020, numero 2836, ha sottolineato come i previsti «comportamenti sgraditi, offensivi e umilianti» fossero tutti riscontrabili negli episodi narrati dai ricorrenti, escludendone l'atteggiamento goliardico, quanto meno in capo a chi lo subiva; in particolare, l'episodio del deodorante dimostrava il proprio connotato razzista nella circostanza che in quel momento erano al lavoro anche altri dipendenti ma il protagonista ha sottoposto al trattamento i soli dipendenti di colore. Le modalità dell'azione e l'imbarazzo palese delle vittime, conclude, valgono ad escludere qualsiasi contesto giocoso del quale i dipendenti di colore fossero partecipi di buon grado.

Si è trattato, dunque, di comportamenti discriminatori. Ma la sentenza non si ferma qui.
I ricorrenti, infatti, hanno chiamato a rispondere anche la società datrice di lavoro. Quest’ultima si è difesa condannando, anche pubblicamente, le condotte scoperte e dimostrando la propria alienità da propensioni razziste, riprovate anche nel proprio regolamento aziendale.

Sennonché il tribunale le ha contestato di non aver poi in concreto vigilato affinché quei precetti fossero rispettati: pur dando atto dell'estraneità dell'azienda ai fatti, dunque, la società è stata ritenuta responsabile, non per aver avuto un ruolo attivo nella vicenda, ma per avere omesso controlli efficaci atti a impedirla.

Tale omissione ha integrato, ad avviso del giudice, il tratto colposo della responsabilità della società, idoneo a determinarne la responsabilità civile (ai sensi dell'articolo 2087 del Codice civile). Ma se pure non vi fosse stata alcuna colpa, ha precisato il tribunale, la società sarebbe comunque stata chiamata a rispondere dei danni in base alla responsabilità dei «padroni e dei committenti» per i fatti illeciti commessi dai loro dipendenti durante l'esecuzione delle loro mansioni (prevista dall'articolo 2049 del Codice civile): ossia, per una responsabilità «oggettiva». Il danno, in favore dei lavoratori ricorrenti, è stato liquidato in alcune migliaia di euro, in proporzione alla retribuzione mensile e alla durata dei maltrattamenti.

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