Contenzioso

Tutele crescenti, licenziamenti con indennizzi a discrezione

di Giuseppe Bulgarini d’Elci

Nell’ambito di un contratto di lavoro a tutele crescenti proseguito per circa un anno, la determinazione dell’indennità economica a fronte di un licenziamento disciplinare illegittimo può essere correttamente svolta sommando il parametro minimo (4 mesi) e massimo (24 mesi) previsti dall’articolo 3, comma 1, del Dlgs 23/2015, operando, quindi, la divisione per due di tale calcolo matematico.

La sentenza del Tribunale
di Venezia

Quattordici mensilità costituiscono, dunque, la misura dell’indennità che il Tribunale di Venezia (sentenza n. 395 del 12 giugno 2019) ha ritenuto di liquidare nel caso di un licenziamento per giusta causa in relazione al quale, in giudizio, non era stato dimostrato dal datore il grado di effettiva responsabilità da ascrivere al lavoratore per i fatti contestati.

Esclusa la tutela reintegratoria, prevista nel solo caso di insussistenza del fatto nella sua componente materiale, il giudice di Venezia si è concentrato sulla misura dell’indennità da liquidare al lavoratore, registrando come, a seguito dell’intervento della Corte costituzionale sull’articolo 3, comma 1, del Decreto sulle tutele crescenti, l’anzianità di servizio non possa costituire l’unico parametro per la determinazione del quantum.

È noto come la Consulta (sentenza n. 194/2018) abbia eliminato dal testo di legge il riferimento all’inciso delle «due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio», restando la sanzione risarcitoria ancorata oggi alla sola previsione di una soglia minima e massima (elevate, per di più, dal Decreto Dignità, rispetto alla fattispecie scrutinata dal giudice di Venezia, a 6 e, rispettivamente, 36 mensilità).

Il Tribunale di Venezia, ripercorrendo la motivazione della Corte costituzionale, individua parametri aggiuntivi ai soli anni di servizio prestati dal lavoratore in azienda e richiama, tra gli altri, le condizioni delle parti, i livelli occupazionali e la dimensione dell’impresa. Sin qui, la sentenza si muove nel solco tracciato da recenti approdi della giurisprudenza, che hanno ritenuto di utilizzare, unitamente al criterio dell’anzianità aziendale, gli altri indici previsti dalle norme che regolano i licenziamenti (articolo 8 della legge 604/1966 e articolo 18, comma 5, della legge 300/1970).

A questa premessa seguono, tuttavia, conclusioni che costituiscono una novità nel panorama della giurisprudenza nazionale, perché si procede con una operazione di puro sapore aritmetico, rispetto alla quale non constano precedenti: si sommano il minimo e il massimo dell’indennità economica prevista dal Decreto sulle tutele crescenti e si divide il risultato per due.

Il giudice veneziano non spiega il procedimento logico/giuridico che lo ha indotto a questa operazione, limitandosi a fissare la propria attenzione sui livelli occupazionali dell’impresa e sui carichi familiari del lavoratore. Il dato che rimane è un decisivo ridimensionamento del parametro dell’anzianità aziendale, che nel caso di Venezia era, peraltro, limitato a un solo anno di servizio.

La sentenza del Tribunale
di Roma

È degli stessi giorni una sentenza del Tribunale di Roma (n. 5422 del 13 giugno 2019), la quale va in tutt’altra direzione e valorizza, invece, il dato degli anni di lavoro prestati nell’impresa, dando atto che esso «conservi tuttora un rilievo prioritario» e costituisca «la base di partenza della quantificazione dell’indennità». Per il giudice capitolino, se è vero che, a seguito della dichiarazione di incostituzionalità dell’articolo 3, comma 1, del Dlgs 23/2015, l’indennità non può (più) essere parametrata al mero dato delle due mensilità per ogni anno di servizio, l’anzianità rimane, comunque, un parametro centrale che deve guidare il giudice nella liquidazione del risarcimento.

Su questo presupposto, considerata la modesta durata del rapporto di lavoro, comunque superiore a due anni e mezzo abbondanti, il Tribunale di Roma ha liquidato l’indennità in 5 mensilità dell’ultima retribuzione utile ai fini del Trattamento di fine rapporto.

Nessun ancoraggio giurisprudenziale

Due giudizi opposti, i quali sono paradigmatici dell’incertezza applicativa che ha finito per produrre lo strumento sanzionatorio dei licenziamenti invalidi introdotto dal Jobs Act per i nuovi assunti a tempo indeterminato. Vedremo gli sviluppi e gli auspicabili assestamenti. Resta il dato di una applicazione del meccanismo risarcitorio a tutele crescenti che risulta affidato al personale convincimento del giudice, nella più totale assenza di un preciso ancoraggio non solo normativo, ma neppure giurisprudenziale.

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