Contenzioso

Misure di protezione collettive prioritarie sui luoghi di lavoro

di Luigi Caiazza

In materia di sicurezza sul lavoro il criterio di priorità delle misure di protezione collettiva nei luoghi di lavoro rispetto a quelle individuali ha carattere diffuso in quanto richiamato più volte dal Dlgs n. 81/2008, il Testo unico sulla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro.

Lo ha ricordato la Cassazione, Sezione Lavoro, nella sentenza n. 18137/20 pubblicata lunedì 31 agosto, con la quale, cassando la sentenza della Corte territoriale, ha accolto il ricorso dei genitori di un lavoratore che aveva subito un infortunio mortale per una caduta da 12 metri.

La vittima, dipendente di una impresa subappaltatrice, stava operando sul tetto di un capannone industriale della ditta committente e, per motivi non accertati, si era sganciato dalla linea vita di ancoraggio, precipitando al suolo. La circostanza che il lavoratore fosse stato dotato di adeguati ed efficienti dispositivi di protezione individuale (Dpi) (cintura e imbragatura) a tutela del pericolo di caduta dall’alto, in alternativa alle misure di sicurezza collettive, e che l’evento si fosse verificato per una condotta imprevedibile e azzardata, convinceva la Corte di merito ma non quella di legittimità.

La prima sosteneva che il riferimento normativo al criterio di priorità lascia al soggetto responsabile un margine di apprezzamento legato a una serie di fattori, fra cui l’opportunità di evitare la creazione e la diffusione di ulteriori rischi connessi alla predisposizione delle misure collettive e l’esigenza datoriale di contenere costi e tempi.

Su tale motivazione non ha concordato la Cassazione, che l’ha ritenuta in contrasto anche con il quadro normativo, a partire da quell’articolo 15 del Dlgs n. 81/2008, il quale, elenca le misure generali di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori e tra esse, al comma 1, lettera i), stabilisce che sia assegnata priorità alle misure di protezione collettiva rispetto a quelle di protezione individuale, criterio da seguire con particolare riguardo nelle lavorazioni in “quota” in base all’articolo 111 del Testo unico. I giudici di legittimità hanno ricordato che i Dpi vanno impiegati se i rischi non possono essere evitati o ridotti con i mezzi di protezione collettiva (articolo 75 del Testo unico), nonché la possibilità di adottare misure di sicurezza equivalenti ed efficaci, in caso di esecuzione di lavori particolari per cui è richiesta l’eliminazione temporanea di un dispositivo di sicurezza collettiva, terminato il quale sia disposto l’immediato ripristino della misure collettive (articolo 111 Testo unico). È stata, ancora, evidenziata la necessità di accertare, prima dell’esecuzione di lavori su lucernari, tetti, coperture e simili e fermo restando l’obbligo di predisporre misure di protezione collettiva, che tali strutture abbiano resistenza sufficiente per sostenere il peso degli operai e dei materiali di impiego (articolo 148 del Testo Unico).

Per la Cassazione appare chiaro, quindi, come nei casi citati e in particolare nei lavori sui tetti sia obbligatoria la predisposizione di misure di protezione collettiva, con l’unico ed esclusivo limite dato dal fatto che la realizzazione di tali misure risulti incompatibile con lo stato dei luoghi o impossibile per altre ragioni tecniche, la cui prova in giudizio grava però sul datore di lavoro e, per quanto di competenza, sui soggetti titolari di posizioni di garanzia.

La sentenza n. 18137/2020 della Corte di cassazione

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