Contenzioso

Mobbing: l'intento persecutorio va sempre dimostrato

di Valeria Zeppilli

Come ormai noto e come in più occasioni ribadito dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità, il mobbing è un fenomeno complesso che si contraddistingue per il compimento, protratto nel tempo, di una serie di atti o comportamenti vessatori posti in essere dai colleghi o dal capo nei confronti di un lavoratore. Tali atti o comportamenti si caratterizzano per essere sorretti da un intento persecutorio e di emarginazione e dalla primaria volontà di escludere la vittima dal gruppo di riferimento.
Non sempre, tuttavia, è agevole accertare se una determinata condotta possa essere o meno riportata a un'ipotesi di mobbing. Così, proprio per agevolare tale accertamento, la Corte di cassazione (sezione lavoro, 29 dicembre 2020, n. 29767) ha individuato quattro elementi che, ove sussistenti, rilevano ai fini della configurabilità della condotta lesiva.
Innanzitutto, i comportamenti persecutori devono essere molteplici e devono essere posti in essere nei confronti della vittima in maniera miratamente sistematica e prolungata, con intento vessatorio. Ciò posto, gli stessi non devono necessariamente essere illeciti ma, se considerati singolarmente, possono anche essere leciti.
In secondo luogo, dai predetti comportamenti deve derivare una lesione della salute o della personalità del lavoratore che ne è vittima.
Inoltre, il pregiudizio all'integrità fisica e/o psichica della vittima deve essere causalmente collegato alla complessiva condotta posta in essere dal "mobbizzante".
Infine, deve essere dimostrato l'elemento soggettivo del mobbing, rappresentato dall'intento persecutorio.
A tale ultimo proposito, la Corte di cassazione ha ulteriormente precisato che la necessità di dimostrare che i comportamenti posti in essere dal collega o dal superiore gerarchico siano il frutto di un disegno persecutorio unificante, volto alla prevaricazione della vittima, deriva dal fatto che le plurime condotte illegittime non sono da sole sufficienti a integrare un'ipotesi di mobbing.
Sul punto va posto in evidenza che, nell'indicare i quattro elementi che caratterizzano il mobbing, si è detto che i comportamenti persecutori, se singolarmente considerati, possono anche essere leciti, senza che tale circostanza, da sola, sia idonea a escludere la sussistenza della condotta illegittima. Tuttavia, non bisogna sottovalutare la rilevanza che la legittimità dei comportamenti può assumere, laddove non si riesca a dimostrare l'intento persecutorio che li unifica.
Come evidenziato dalla stessa giurisprudenza, infatti, chi assume di aver subito la condotta vessatoria deve provare proprio tale intento persecutorio, che è l'elemento qualificante del mobbing. In difetto di elementi probatori di segno contrario, quindi, la legittimità dei singoli comportamenti può rilevare in maniera indiretta, in quanto sintomatica dell'assenza dell'elemento soggettivo che deve sorreggere la condotta complessivamente considerata.

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