Contenzioso

Blocco dei licenziamenti/2: il recesso in prova è nullo se si dimostra l’esigenza di ridurre i costi

di Marco Tesoro

Durante il blocco dei licenziamenti, il recesso intimato nel del periodo di prova è nullo per motivo illecito determinante, se il dipendente dimostra di aver superato la prova ed è accertata l’esigenza datoriale di ridurre i costi.
Così si è espresso il Tribunale di Roma (estensore Coco) il 25 marzo 2021, annullando il licenziamento in prova intimato da un hotel durante il lockdown.

La vicenda

La dipendente era stata assunta il 1° marzo 2020 con mansioni di “hotel manager”, qualifica di quadro e periodo di prova di sei mesi.Dopo pochi giorni, l’hotel chiudeva al pubblico per l’emergenza Covid-19 e chiedeva l’attivazione del Fis per tutti i dipendenti, salvo poi rettificare la comunicazione con riferimento alla ricorrente che – non avendo i requisiti per accedere al Fis – veniva posta in smart working e licenziata in periodo di prova, il 16 aprile 2020.La lavoratrice impugnava il provvedimento, lamentando la nullità del patto di prova per mancata specificazione delle mansioni e la nullità del licenziamento per motivo illecito determinante.

Quando il recesso è annullabile

Il Tribunale di Roma, dopo aver accertato la validità del patto di prova, richiama l’insegnamento della Corte di cassazione in tema di recesso in prova, annullabile ove il lavoratore dimostri il positivo superamento dell’esperimento nonché l’imputabilità del licenziamento a un motivo illecito (Cassazione civile, Lav. n. 1180/2017).Nel caso di specie, il Tribunale evidenzia come il provvedimento datoriale faccia riferimento ad una «risoluzione del rapporto di lavoro durante il periodo di prova» e non a una risoluzione per mancato superamento del periodo di prova, ricordando come l’orientamento citato neghi dignità giuridica all’esercizio della pura e semplice discrezionalità funzionalmente slegata dal patto di prova.In merito al superamento della prova, il Tribunale ritiene assolto l’onere probatorio di parte ricorrente pur in assenza di alcuna attività istruttoria orale, stante la descrizione in atti delle attività svolte e la mancata puntuale contestazione da parte della società.Con riferimento al motivo illecito determinante, il giudice di prime cure rileva l’indubbia esistenza di indizi gravi, precisi e concordanti a conforto della tesi per cui il recesso sia stato deciso non per motivi legati all’espletamento della prova ma per motivi economici, quali l’aver inizialmente richiesto il Fis anche per la ricorrente (a riprova della sua piena integrazione nell’organico aziendale) e la situazione di oggettiva e grave difficoltà economica della società durante il lockdown, da considerarsi «fatto notorio» per tutte le strutture alberghiere. Accertato il positivo superamento del periodo di prova e la reale motivazione del licenziamento – l’esigenza di estromettere dal contesto aziendale una risorsa divenuta eccessivamente onerosa – il giudice ha dichiarato la «nullità assoluta del recesso datoriale ai sensi del combinato disposto degli artt. 1418 e 1345 c. c., essendo stato il reale motivo che ha giustificato il provvedimento espulsivo violativo dell’art. 46 D. L. 18/2020» e in quanto tale illecito.

Finalità vietate dall’ordinamento

La conclusione, secondo la pronuncia, trova espressa conferma nel consolidato orientamento giurisprudenziale per cui il licenziamento è giustificato da motivo illecito ogniqualvolta sia basato su una finalità vietata dall’ordinamento, poiché contraria a norma imperativa o ai principi dell’ordine pubblico o del buon costume, ovvero poiché diretta a eludere una norma imperativa (in tal senso Cass. n. 10603/1993).

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