Contenzioso

Rassegna di Cassazione

a cura di Toffoletto De Luca Tamajo e Soci

Malattia non tabellata dall'Inail e onere della prova
Licenziamento per giustificato motivo oggettivo
Carcerazione preventiva e licenziamento
Obbligo di repêchage del datore di lavoro
Licenziamento, reintegrazione e diritto alle ferie


Malattia non tabellata dall'Inail e onere della prova

Cass. Sez. Lav. ord. 3 marzo 2021, n. 5816

Pres. Manna; Rel. D'Antonio; Ric. D.D.; Contr. C. S.p.A. e I.

Malattia non tabellata dall'INAIL – Art. 2087 c.c. – Risarcimento del danno – Responsabilità del datore – Ambiente lavorativo – Nesso di causalità – Onere della prova – A carico del lavoratore – Sussiste

Al fine di poter accertare una condotta colpevole del datore di lavoro, in caso di sopravvenienza di una malattia non tabellata, incombe sul lavoratore l'onere di provare il nesso causale tra la malattia e l'ambiente lavorativo.
NOTA
La Corte d'appello di Trento ha confermato la sentenza resa in primo grado dal Tribunale di Bolzano con la quale era stata accertata l'insussistenza, in capo alla società datore di lavoro, di alcuna responsabilità per la malattia (sindrome fibromialgica) manifestatasi nel corso del rapporto di lavoro in capo alla dipendente ricorrente, con conseguente reiezione del suo diritto al risarcimento del danno.
In particolare, la Corte territoriale, a seguito della consulenza tecnica espletata in appello, ha ritenuto che la predetta patologia non fosse riconducibile ad una condotta colposa del datore di lavoro, stante l'assenza di un nesso di causalità tra la stessa e l'ambiente di lavoro in cui la dipendente aveva prestato attività.
In aggiunta a quanto sopra, la Corte ha precisato che, trattandosi di una malattia non richiamata dalla normativa INAIL (c.d. tabelle), gravava proprio sulla lavoratrice l'onere di fornire la prova circa la sussistenza del predetto nesso di causalità.
Secondo il ragionamento della Corte d'appello, in particolare, la patologia sofferta dalla dipendente, asseritamente derivante dal microclima ambientale in cui lavorava, non poteva considerarsi idonea a determinare la lesione all'integrità psicofisica lamentata, quale diretta conseguenza della mancata adozione, da parte del datore di lavoro, di tutte le misure e le cautele volte a prevenire tale menomazione.
Avverso tale decisione la lavoratrice ha proposto ricorso per cassazione, censurando la decisione sotto svariati profili, eccependo, in particolare, che la Corte territoriale aveva errato nel porre a carico della lavoratrice l'onere di provare la sussistenza del nesso causale tra la malattia e l'ambiente lavorativo.
La Corte di cassazione, per quanto qui rileva, esaminando congiuntamente i motivi, ritiene infondato il ricorso proposto dalla lavoratrice.
In primo luogo, ancor prima di valutare nel merito la legittimità delle domande proposte, la Suprema Corte dichiara inammissibili i motivi di ricorso per omessa indicazione delle parti della sentenza che venivano censurate, nonché per il fatto che, nella sostanza, il ricorso proponeva una nuova valutazione delle risultanze della CTU espletata in appello e, in quanto tale, inammissibile in sede di legittimità non rientrando tra i compiti della Cassazione riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa.
In secondo luogo, la Suprema Corte ritiene che il percorso logico-giuridico seguito dai giudici di merito sia coerente con il consolidato orientamento secondo cui: "in caso di malattia non tabellata, incombe sul lavoratore l'onere di provare il nesso causale e l'ambiente lavorativo" (Cass. n 8773/2018) ed afferma che nel caso di specie tale onere probatorio non era stato assolto dalla lavoratrice.
Conseguentemente il ricorso della dipendente viene respinto.

Licenziamento per giustificato motivo oggettivo

Cass. Sez. Lav. 16 marzo 2021, n. 7360

Pres. Raimondi; Rel. Lorito; Ric. D.S.M.; Controric. G.I.S.r.l.

Licenziamento per giustificato motivo oggettivo – Ricollocazione impossibile nelle sedi indicate dal lavoratore – Adempimento dell'obbligo di repêchage da parte del datore di lavoro – Sussiste

In tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, sebbene non sussista un onere del lavoratore di indicare quali siano al momento del recesso i posti esistenti in azienda ai fini del repêchage, ove il lavoratore medesimo, in un contesto di accertata e grave crisi economica ed organizzativa dell'impresa, indichi le posizioni lavorative a suo avviso disponibili in una precisa aerea geografica (nella specie Campania e basso Lazio) e queste risultino insussistenti, tale verifica ben può essere utilizzata dal giudice al fine di escludere la possibilità del predetto repêchage.
NOTA
Una dipendente impugnava il licenziamento per giustificato motivo oggettivo irrogatole a seguito della chiusura dell'unità locale ove svolgeva mansioni di store manager.
La Corte di appello di Napoli, in riforma della sentenza di primo grado, rigettava la predetta domanda, deducendo la mancata violazione dell'obbligo di repêchage da parte della Società avendo questa «adeguatamente assolto l'onere assertivo e probatorio sulla stessa gravante, inerente alla impossibilità di continuare ad utilizzare a tempo indeterminato le energie lavorative della reclamata presso uno degli esercizi indicati da quest'ultima» avendo la dipendente dimostrato la propria disponibilità ad essere trasferita soltanto in una delle sedi della Campania o del basso Lazio.
La dipendente impugna davanti alla Corte di Cassazione la sentenza con un unico motivo, addebitando «ai giudici del gravame di avere solo formalmente asserito di condividere i principi enunciati dalla Corte di legittimità in tema di allegazione e prova della impossibilità di repêchage del dipendente licenziato, concludendo con l'affermazione di un obbligo di collaborazione da parte del lavoratore nell'accertamento di un possibile repêchage».
La Cassazione - confermando quanto stabilito dalla Corte d'Appello - rileva, preliminarmente, che in materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, spetta al datore di lavoro l'obbligo di allegare e provare l'impossibilità di repêchage del dipendente licenziato, essendo questo un requisito di legittimità del recesso per giustificato motivo oggettivo. Nel caso di specie, la Corte di legittimità ritiene che detto onere sia stato assolto dal datore che ha dimostrato che non vi fosse alcuna possibilità di ricollocare la lavoratrice licenziata in una sede ricompresa all'interno del territorio in cui la stessa si era resa disponibile a trasferirsi.
Invero, secondo i Giudici di legittimità, seppure in generale sul lavoratore non incomba alcun onere di allegazione, una volta che lo stesso circoscrive - nella domanda giudiziale - l'ambito spaziale di interesse, consente al datore di lavoro di non dovere addure alcunché circa il possibile ricollocamento in altre sedi site in territori diversi.
Su tali presupposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso della lavoratrice, ritenendo che la datrice di lavoro abbia correttamente assolto l'onere di dimostrare di non avere alcun posto disponibile nelle sedi indicate dalla ricorrente stessa.

Carcerazione preventiva e licenziamento

Cass. Sez. Lav. 10 marzo 2021, n. 6714

Pres. Raimondi; Rel. Cinque; P.M. Sanlorenzo; Ric. T.A.; Controric. A. S.p.A.

Licenziamento individuale – Carcerazione preventiva – Assenza di interesse a ricevere le ulteriori prestazioni – Esigenze oggettive dell'impresa – Rilevanza

In ipotesi di assenza dal lavoro per carcerazione preventiva, la persistenza o meno di un interesse rilevante del datore di lavoro a ricevere le ulteriori prestazioni deve essere parametrata alla stregua di criteri oggettivi, riconducibili a quelli fissati nell'ultima parte dell'art. 3, L. 604/1966, e cioè con riferimento alle oggettive esigenze dell'impresa. Tale valutazione deve essere fatta ex ante, e non già ex post, tenendo conto delle dimensioni dell'impresa, del tipo di organizzazione tecnico-produttiva, della natura ed importanza delle mansioni del dipendente, del periodo di assenza già maturato, della ragionevole prevedibilità che l'impossibilità si protragga, della possibilità di affidare le mansioni temporaneamente ad altri lavoratori senza necessità di nuove assunzioni e, più in generale, di ogni altra circostanza rilevante ai fini della determinazione della tollerabilità dell'assenza.
Licenziamento individuale – Carcerazione preventiva – Impossibilità sopravvenuta della prestazione - Legittimità - Obbligo di repêchage – Non sussiste
In caso di licenziamento per impossibilità sopravvenuta ex art. 1464 cod. civ. per stato di detenzione del lavoratore è esclusa l'operatività dell'obbligo di repêchage in quanto – a differenza di quanto accade nel caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo – vi è un fatto oggettivo, estraneo alla volontà del datore di lavoro e non riconducibile alle sue scelte imprenditoriali, che incide sull'organizzazione aziendale comportandone, di per sé, una modificazione connessa all'incapacità totale di fruire di ogni prestazione lavorativa di quel determinato dipendente, con conseguente impossibilità di ipotizzare ogni ricollocamento alternativo e/o parziale.
NOTA
La Corte d'Appello di Roma, confermando le decisioni rese all'esito dei precedenti gradi di giudizio, confermava la legittimità del licenziamento per impossibilità sopravvenuta della prestazione intimato ad un lavoratore a seguito dell'applicazione nei suoi confronti di una misura restrittiva della libertà personale. In sintesi, la Corte rilevava che il licenziamento fosse stato determinato dalla mancata prestazione di attività lavorativa per oltre un anno e trovasse il suo fondamento giuridico negli artt. 1463 e 1464 cod. civ., fattispecie non strettamente equiparabili alla risoluzione del contratto per giustificato motivo oggettivo. Inoltre, la Corte chiariva che, ai fini del giudizio di intollerabilità dell'assenza, andava considerato che la stessa si era protratta per oltre un anno (incidendo quindi sull'organizzazione dell'attività di impresa e determinandone una grave disfunzione) e aveva reso necessario apportare modifiche all'assetto aziendale che non consentivano un proficuo inserimento del lavoratore.
Il lavoratore proponeva ricorso per Cassazione avverso tale pronuncia, eccependo innanzitutto la violazione e falsa applicazione dell'art. 12 delle Preleggi, in relazione agli artt. 1463 e 1464 cod. civ.
La Corte di cassazione ritiene il primo motivo infondato, chiarendo come la Corte d'Appello avesse correttamente richiamato gli artt. 1463 e 1464 cod. civ. per sottolineare come il caso in oggetto ricadesse nell'ambito dell'istituto giuridico della "impossibilità sopravvenuta dell'obbligazione", inquadrando poi la vicenda nell'istituto del recesso ex art. 1464 cod. civ., determinato dalla mancanza di un interesse del datore di lavoro all'adempimento parziale della prestazione da parte del lavoratore. Richiamando il proprio consolidato orientamento, la Corte specifica che – in ipotesi di assenza dal lavoro per carcerazione preventiva – la persistenza di un interesse rilevante a ricevere le ulteriori prestazioni deve essere parametrata alla stregua di criteri oggettivi, riconducibili a quelli fissati nell'ultima parte dell'art. 3, L. 604/1966, e cioè con riferimento alle oggettive esigenze dell'impresa. Tale valutazione deve essere svolta ex ante, tenendo conto delle dimensioni dell'impresa, del tipo di organizzazione tecnico-produttiva, della natura ed importanza delle mansioni del dipendente, del periodo di assenza già maturato prima del recesso, della ragionevole prevedibilità di una prosecuzione dell'assenza medesima, della possibilità di affidare le mansioni ad altri dipendenti in forza senza necessità di nuove assunzioni e, più in generale, di ogni altra circostanza oggettivamente rilevante ai fini della determinazione della tollerabilità dell'assenza (in tal senso, Cass. 19135/2016; Cass. 12721/2009).
Con il secondo motivo di ricorso, il lavoratore ricorrente lamentava che i giudici di merito avessero fondato la propria decisione escludendo l'obbligo di repêchage.
La Corte considera anche questo motivo infondato, ritenendo condivisibile l'esclusione dell'operatività dell'obbligo di repêchage in quanto nell'ipotesi di recesso per impossibilità sopravvenuta, ex art. 1464 cod. civ., per stato di detenzione del lavoratore – a differenza di quanto accade nel licenziamento per giustificato motivo oggettivo – vi è un fatto oggettivo, estraneo alla volontà del datore di lavoro e non riconducibile alle sue scelte imprenditoriali, che incide sull'organizzazione aziendale e ne comporta una modificazione dovuta all'impossibilità di fruire di ogni prestazione lavorativa da parte del dipendente detenuto, con conseguente impossibilità di ipotizzare un ricollocamento alternativo, anche parziale. In altri termini, l'istituto del repêchage non è applicabile giacché esso richiede in ogni caso una fungibilità e una concreta idoneità lavorativa del dipendente.

Obbligo di repêchage del datore di lavoro

Cass. Sez. Lav. 15 marzo 2021, n. 7218

Pres. Raimondi; Rel. Arienzo Ric. M.L.; Controric. C.L.E.M. S.n.c.

Licenziamento individuale – Giustificato motivo oggettivo – Soppressione posizione – Obbligo di repêchage – Rilevanza delle sole mansioni compatibili con la professionalità del lavoratore – Sussiste

Grava sul datore di lavoro, in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, per la soppressione del posto di lavoro cui era addetto il lavoratore, l'onere di provare in giudizio che al momento del licenziamento non sussisteva alcuna posizione di lavoro analoga a quella soppressa per l'espletamento di mansioni equivalenti, non venendo tuttavia in rilievo tutte le mansioni inferiori dell‘organigramma aziendale, ma solo quelle che siano compatibili con le competenze professionali del lavoratore, ovvero quelle che siano state effettivamente già svolte, contestualmente o in precedenza, senza che sia previsto un obbligo del datore di lavoro di fornire un'ulteriore o diversa formazione del prestatore per la salvaguardia del posto di lavoro.
NOTA
La Corte d'Appello di Milano confermava la sentenza di primo grado che aveva ritenuto giustificato il licenziamento per soppressione della posizione irrogato dalla società datrice di lavoro ad un dipendente addetto al laboratorio di produzione dei generi alimentari commercializzati.
In particolare, la Corte accertava la necessità di riduzione del personale a seguito della contrazione del volume di vendite determinata dalla chiusura di un punto vendita. Veniva altresì accertato che non rilevava l'assunzione di un altro lavoratore, avvenuta a pochi giorni di distanza dal licenziamento ed addetto in via prevalente a mansioni di pasticciere, ancorché assunto con qualifica di panificatore, in quanto inerente a mansioni diverse e ad una posizione rimasta scoperta a seguito di dimissioni. Aggiungeva, inoltre, la Corte territoriale che correttamente era stata rilevata la tardività della deduzione concernente la violazione dell'obbligo di repêchage, non indicata nel ricorso di primo grado fra i motivi di impugnazione del licenziamento.
Avverso tale decisione, il dipendente proponeva ricorso per cassazione, censurando la decisione, per quel che qui interessa, per violazione e falsa applicazione dell'art. 2119 c.c., nonché violazione dell'obbligo del repêchage.
In particolare, con il primo motivo di ricorso, il lavoratore sostiene che la Corte d'Appello di Milano abbia errato nel ritenere che la domanda relativa alla violazione dell'obbligo di repêchage fosse nuova, poiché in relazione alla manifesta insussistenza del fatto alla base del licenziamento, il datore di lavoro è tenuto ad allegare e dimostrare non solo la sussistenza delle ragioni economiche alla base del recesso, ma, altresì, di non potere ragionevolmente, senza rilevanti modifiche organizzative comportanti aumenti di organico o strutturali, utilizzare il dipendente in mansioni equivalenti o, in mancanza, anche deteriori e, dunque, afferma il ricorrente, nel caso di specie eventualmente anche quelle affidate al neo assunto.
Sul punto, la Suprema Corte, nel disattendere il motivo di ricorso, ribadisce i principi elaborati dalla più recente giurisprudenza di legittimità in materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo e onere della prova.
Infatti, da un lato il lavoratore è tenuto a dimostrare il fatto costitutivo dell'esistenza del rapporto di
lavoro a tempo indeterminato, nonché ad allegare l'illegittimo rifiuto del datore di continuare a ricevere la prestazione lavorativa in assenza di un giustificato motivo.
Dall'altro sul datore di lavoro incombe un duplice onere: allegare e provare l'effettiva sussistenza di una ragione inerente all'attività produttiva, l'organizzazione o il funzionamento e altresì l'impossibilità di una diversa collocazione del lavoratore all'interno della società.
Nell'ambito di tale primo motivo di ricorso, la Suprema Corte ribadisce, in aggiunta, che nella valutazione dell'esistenza di una posizione analoga a quella soppressa non rilevano tutte le mansioni inferiori dell'organigramma aziendale, «ma solo quelle che siano compatibili con le competenze professionali del lavoratore, ovvero quelle che siano state effettivamente già svolte, contestualmente o in precedenza, senza che sia previsto un obbligo del datore di lavoro di fornire un'ulteriore o diversa formazione del prestatore per la salvaguardia del posto di lavoro».
Con riferimento al caso di specie, pertanto, la Cassazione ha ritenuto che correttamente la Corte d'Appello di Milano avesse rilevato il nesso causale tra motivazione economica e riduzione dell'organico e applicato i principi sopra enunciati in tema di obbligo di repêchage, con specifico riferimento alla posizione e alle mansioni – individuate in concreto –affidate dal ricorrente.

Licenziamento, reintegrazione e diritto alle ferie

Cass. Sez. Lav. 8 marzo 2021, n. 6319

Pres. Berrino; Rel. Cinque; P.M. Sanlorenzo; Ric. C.C.; Controric. I.B. S.p.a.

Licenziamento illegittimo - Domanda giudiziale - Reintegrazione - Periodo tra il recesso e la ricostituzione del rapporto - Diritto alle ferie - Sussistenza

Il periodo compreso tra la data del licenziamento illegittimo e la data della reintegrazione del lavoratore nel suo impiego, avvenuta mediante una decisione giudiziaria, deve essere assimilato a un periodo di lavoro effettivo ai fini della maturazione delle ferie annuali retribuite con relativo diritto all'indennità sostitutiva.
NOTA
Nel caso in esame una lavoratrice veniva licenziata all'esito di una procedura di mobilità. Proposto ricorso, il Tribunale disponeva la reintegrazione della lavoratrice che riprendeva quindi regolare servizio. Negli anni successivi, la lavoratrice, per due volte successive, veniva dapprima licenziata dalla società e successivamente reintegrata per ordine del Tribunale adito.
Avverso le predette sentenze la lavoratrice proponeva appello contestando, tra le altre cose, che i giudici di primo grado avessero erroneamente escluso la liquidazione delle ferie maturate nell'arco temporale tra il recesso e la reintegrazione, sull'assunto che le stesse non spettassero in quanto legate necessariamente al mancato riposo che, nel caso di specie, non era ravvisabile in quanto la dipendente non aveva lavorato. La Corte di appello rigettava quindi i ricorsi.
Avverso la decisione della Corte proponeva ricorso la lavoratrice e la Cassazione lo ha accolto.
Per la Cassazione sussiste il diritto al pagamento dell'indennità sostitutiva delle ferie, dei permessi e delle festività non godute maturate nell'arco temporale compreso tra il licenziamento illegittimo e la reintegrazione.
La decisione della Cassazione ha tenuto conto della sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea adita in sede di rinvio pregiudiziale nell'ambito del caso in esame e del relativo percorso argomentativo, all'esito del quale, la Corte di Giustizia ha equiparato il caso di specie ad un'ipotesi di sopravvenienza di inabilità al lavoro per causa di malattia (trattandosi di contesti imprevedibili e indipendenti dalla volontà del lavoratore); sulla base di tale assunto, per la Corte, il periodo compreso tra la data del licenziamento illegittimo e la data della reintegrazione del lavoratore nel suo impiego deve essere assimilato ad un periodo di lavoro effettivo ai fini della determinazione dei diritti alle ferie annuali.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©