Contenzioso

Pa: nulla la deroga (anche migliorativa) del contratto collettivo

di Valeria Zeppilli

Nell'impiego pubblico contrattualizzato, alla contrattazione collettiva è attribuito un ruolo centrale, che la Corte di cassazione ha valorizzato da tempo e ha anche da ultimo ribadito (ordinanza 11645/2021 del 4 maggio).

Da tale centralità discende che, ad esempio, l'atto di deroga, anche in senso migliorativo, delle disposizioni del contratto collettivo deve ritenersi nullo e ciò sotto due diversi profili: la nullità colpisce il contratto sia quale atto negoziale, per violazione di norma amministrativa, sia quale atto amministrativo, per difetto assoluto di attribuzione, derivante dall'impossibilità per l'amministrazione di intervenire con propri atti autoritativi nelle materie affidate alla contrattazione collettiva.

Il ruolo assegnato alla contrattazione collettiva, del resto, fa parte del complessivo disegno delineato dal legislatore per superare lo statuto pubblicistico dell'impiego alle dipendenze della pubblica amministrazione ed è sostenuto dalla previsione di una specifica disciplina che mira a garantire l'attuazione dei principi sanciti dall'articolo 97 della Costituzione. Così, se mancano delle disposizioni specifiche che derogano espressamente alla regola generale, il datore di lavoro pubblico, nella disciplina del singolo rapporto di impiego alle sue dipendenze, non ha il potere di discostarsi in maniera unilaterale dall'assetto definito in sede di contrattazione collettiva.

Da tale principio discendono diverse conseguenze, tra le quali la circostanza che, anche se il lavoratore ha visto attribuirsi un certo trattamento economico dalla pubblica amministrazione attraverso un atto negoziale di diritto privato di gestione del rapporto di lavoro, tale attribuzione non può ritenersi idonea a costituire in capo al lavoratore medesimo una posizione giuridica soggettiva. In ragione di quanto visto prima, infatti, il diritto del dipendente al trattamento si stabilizza solo se l'atto della Pa risulta conforme alla volontà delle parti collettive.

Non è al contrario corretto affermare che la nullità dell'atto dispositivo si verifica solo se vi è contrasto con i vincoli finanziari. La contrattazione collettiva, infatti, persegue molteplici obiettivi, che passano anche per l'efficienza, l'imparzialità e la trasparenza degli enti, oltre che per la proporzionalità e l'adeguatezza della retribuzione, la parità di trattamento e la valorizzazione del merito. Anzi, l'atto è nullo sia se con esso sono stati violati i requisiti sostanziali richiesti per l'attribuzione di un certo trattamento retributivo, sia se con esso non sono state rispettate le procedure che le parti collettive hanno stabilito per l'accertamento di tali requisiti.

Nel lavoro pubblico, peraltro, data la particolare natura assunta dal rapporto di impiego, il datore di lavoro è sempre tenuto a recuperare le somme corrisposte senza titolo e non è possibile subordinare la restituzione alla previa dimostrazione di un errore riconoscibile non imputabile al datore di lavoro. Quest'ultimo, infatti, deve in ogni caso sottrarsi all'adempimento di obbligazioni che trovano il proprio titolo in un atto illegittimo, considerato il suo dovere di assicurare il rispetto della legge e, quindi, del contratto collettivo (cui la legge conferisce efficacia generalizzata).

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©