Contenzioso

La falsa attestazione della presenza in servizio deve essere idonea a ingannare il datore di lavoro pubblico

di Valeria Zeppilli

La falsa attestazione della presenza in servizio da parte del pubblico dipendente è un illecito disciplinare considerato particolarmente grave dal legislatore. Basti pensare che l'articolo 55-quater del decreto legislativo 165/2001 prevede per tale comportamento, condotto mediante l'alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente, la sanzione disciplinare del licenziamento.

La Corte di cassazione (sentenza 14199/2021) ha tuttavia precisato che la giurisprudenza costituzionale si è mostrata costantemente sfavorevole rispetto agli automatismi espulsivi, con la conseguenza che comunque, anche con riferimento alla fattispecie in esame, in caso di contestazione, al giudice va lasciata la possibilità di valutare l'effettiva proporzionalità della sanzione espulsiva. L'imperatività assoluta espressa dalla norma, insomma, va limitata al rapporto tra legge e contratto collettivo.

I giudici di legittimità hanno inoltre ribadito che, se è vero che ai fini dell'integrazione della condotta di rilevo disciplinare non è necessario che vi sia stata una materiale alterazione o una manomissione del sistema di rilevamento delle presenze in servizio, non è comunque possibile sanzionare il dipendente se la condotta da questi tenuta non sia oggettivamente idonea a indurre in errore il datore di lavoro.

Resta fermo il fatto che, in linea generale, il dipendente che si allontana dall'ufficio senza timbrare pone in essere un comportamento fraudolento, volto a rappresentare una situazione diversa rispetto a quella effettiva e, in quanto tale, rilevante ai fini di quanto stabilito dall'articolo 55-quater, lettera a), del testo unico sul pubblico impiego. Nel caso specifico, il lavoratore, durante l'orario di lavoro, era stato visto in diverse occasioni al di fuori dell'ufficio al quale era assegnato con indosso dei cartelli di cartone nei quali erano impresse delle scritte di protesta contro le condizioni di lavoro, ritenute dall'uomo ingiuste e lesive della sua salute. Prima di inscenare tali proteste, il dipendente non aveva però attestato la propria uscita dal servizio.

Per la Corte di cassazione, tuttavia, giustamente il giudice del merito ha ritenuto ingiustificata la sanzione espulsiva. Da un lato, infatti, la sua condotta non poteva essere sussunta nell'illecito tipizzato dal testo unico, non essendo idonea a indurre in errore il datore di lavoro. Dall'altro lato, poi, i profili oggettivi e soggettivi della stessa non erano tali da giustificare la sanzione espulsiva, se solo si considera che non vi era stato un reale allontanamento dal posto di lavoro e che le proteste platealmente inscenate erano durate, ogni volta, non più di pochi minuti.

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