Contenzioso

Stop alla riduzione unilaterale dell’orario di lavoro al dipendente in part-time

di Giampaolo Furlan

È illegittima la riduzione unilaterale dell’orario di lavoro per un dipendente in part-time. È il principio stabilito dal tribunale di Bolzano, sezione lavoro, nella sentenza del 28 maggio 2021. Il tribunale si è pronunciato sulla riduzione dell’orario di lavoro part time di una lavoratrice dal 75% al 50%, operata unilateralmente dal datore di lavoro, ritenendo la riduzione illegittima.

Il caso

La ricorrente lavorava alle dipendenze della società, come commessa addetta alla vendita, con un contratto part-time al 75% inizialmente a tempo determinato, poi trasformato a tempo indeterminato. Dopo circa 10 mesi le parti hanno concordemente trasformato il part-time in un contratto a tempo pieno. Dopo circa 4 mesi le parti hanno nuovamente concordato una modifica da tempo pieno a un part-time al 75%.

Dopo 9 mesi l’azienda ha unilateralmente ridotto il part-time passandolo dal 75% al 50%. Tale ultima modifica non è stata accettata dalla lavoratrice. Nessuno dei contratti part-time (sia quelli concordati sia quello unilateralmente modificato) conteneva la collocazione temporale della prestazione lavorativa e la lavoratrice dava atto di aver svolto, durante il periodo di part time al 75%, l’orario di lavoro dalle 9 alle 14,00. La ricorrente è quindi ricorsa al Tribunale per chiedere:

- l’accertamento della illegittimità della riduzione dell’orario di lavoro part time dal 75% al 50%, operata unilateralmente dal datore di lavoro;

- il diritto al mantenimento del part-time concordato al 75%;

- il diritto al pagamento delle differenze retributive non corrisposte e decorrenti dalla data di unilaterale riduzione;

- la determinazione della collocazione temporale della prestazione e il risarcimento del danno.

La decisione del giudice

Il Tribunale ha accolto totalmente le domande della lavoratrice. La sentenza appare in gran parte condivisibile e in linea con l’orientamento ormai consolidato della giurisprudenza.Proviamo a scomporre la decisione del giudice in base alle domande formulate dalla lavoratrice. I primi due capi della domanda come sopra individuati, sono strettamente connessi e pertanto verranno esaminati congiuntamente. Il giudice richiama in primo luogo i principi normativi di cui all’art. 4 e seguenti del D.Lgs. 81/2015 e del CCNL Commercio applicato. In particolare, in tema di modifica unilaterale dell’orario di lavoro, sia che si tratti di aumento che di riduzione, il giudicante si riporta alla giurisprudenza consolidata sul punto: la «modifica deve sempre avvenire per iscritto con il consenso di ambo le parti. Una modifica unilaterale dell’orario di lavoro a tempo parziale è infatti del tutto illegittima». Questo risulta il costante orientamento della giurisprudenza sia di merito, sia di legittimità: «Configurandosi, alla stregua dell’originaria disciplina in materia, la modalità oraria come elemento qualificante la prestazione oggetto del contratto part-time, la variazione, tanto in aumento quanto in diminuzione, del monte ore inizialmente pattuito tra le parti integra gli estremi di una novazione oggettiva dell’intesa negoziale in essere e richiede una rinnovata manifestazione di volontà espressa in conformità ai vincoli di forma all’epoca richiesti ad substantiam dalla richiamata normativa» (Cassazione civile , sez. lav., 11/12/2014, n. 26109).

La linea dettata dal Ccnl

Il principio è poi ribadito dal Ccnl applicato. Avendo il datore di lavoro ridotto unilateralmente l’orario di lavoro, ha trovato così accoglimento la domanda della lavoratrice di ripristino dell’orario osservato prima dell’illegittima unilaterale riduzione.

Anche gli altri due capi della sentenza appaiono strettamente connessi:

- il diritto al pagamento delle retribuzioni non corrisposte e decorrenti dalla data di unilaterale riduzione (la differenza tra il 50% e il 75%);

- la determinazione della collocazione temporale della prestazione e il risarcimento del danno.

In ordine a tali capi della domanda, la sentenza appare solo in parte condivisibile. È senza dubbio condivisibile in ordine alla determinazione della collocazione temporale della prestazione e al relativo risarcimento del danno. Appare invece discutibile in ordine alla condanna al pagamento delle differenze retributive. L’art. 5 del D.Lgs. 81/2015 statuisce che: «Nel contratto di lavoro a tempo parziale è contenuta puntuale indicazione della durata della prestazione lavorativa e della collocazione temporale dell’orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno».

Nel caso di specie, né all’atto dell’assunzione né tantomeno all’atto delle varie trasformazioni del rapporto, risulta che sia mai stata indicata la collocazione temporale dell’orario. L’art. 10, comma 2, del D.Lgs. 81/2015 dice: «Qualora l’omissione riguardi la sola collocazione temporale dell’orario, il giudice determina le modalità temporali di svolgimento della prestazione lavorativa a tempo parziale, tenendo conto delle responsabilità familiari del lavoratore interessato e della sua necessità di integrazione del reddito mediante lo svolgimento di altra attività lavorativa, nonchè delle esigenze del datore di lavoro. Per il periodo antecedente alla pronuncia, il lavoratore ha in entrambi i casi diritto, in aggiunta alla retribuzione dovuta per le prestazioni effettivamente rese, a un’ulteriore somma a titolo di risarcimento del danno». In considerazione di quanto sopra, avendo la lavoratrice provato le proprie esigenze di carattere familiare e considerato che le parti avevano collocato di fatto la prestazione nell’orario dalle 9 alle 14, considerato altresì il comportamento della società che è rimasta contumace e che quindi non ha rappresentato le proprie eventuali diverse “esigenze”, il Giudice ha accolto la domanda statuendo la collocazione temporale della prestazione dalle 9 alle 14. Contestualmente, a fronte del mancato inserimento nei contratti della collocazione temporanea, il giudice ha correttamente liquidato il risarcimento dei danni quantificandolo in via equitativa nella misura del 15%.

A parere di chi scrive invece la sentenza appare discutibile (o quantomeno carente di motivazione) sul punto relativo alla condanna al pagamento delle differenze retributive tra il 50% e il 75% per il periodo di unilaterale riduzione della prestazione. L’articolo 10 del Dlgs 81/2015 infatti riconosce le differenze retributive sulle prestazioni effettivamente rese. Per quelle non rese (come sembra essere il caso di specie, essendovi stata una riduzione della prestazione) la norma non specifica nulla. Probabilmente nel caso di specie, dopo la riduzione, la lavoratrice aveva offerto immediatamente la propria prestazione mettendo così in mora il datore di lavoro. Ciò non emerge dalla sentenza ma è l’unica ipotesi che può aver legittimato il giudice alla liquidazione delle differenze retributive.

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