Contenzioso

Valide le pattuizioni regolative degli accordi sindacali conclusi al termine della procedura di licenziamento collettivo

di Marco Tesoro

L'accordo sindacale concluso al termine della procedura di licenziamento collettivo può contenere clausole di contenuto immediatamente regolativo dei rapporti di lavoro. Questo il principio che emerge dalla sentenza della 16917/2021 della Corte di cassazione.

Il caso trae origine dalla procedura di licenziamento collettivo avviata da un noto istituto di credito e conclusa con accordo sindacale, che identificava i criteri per la selezione del personale in esubero e prevedeva, a fronte di determinati presupposti, una indennità sostitutiva del preavviso inferiore a quella stabilita dal Ccnl applicato. Sia il Tribunale sia la Corte d'Appello negavano l'applicabilità della disposizione concernente la misura del preavviso, rilevando l'impossibilità della contrattazione decentrata di modificare i termini economici e normativi del Ccnl, escludendo l'applicabilità dell'articolo 8 del Dl 138/2011 e reputando irriducibile la previsione impugnata all'oggetto tipico degli accordi previsti dalla legge 223/1991.

La Corte d'Appello non ha ritenuto possibile regolare la misura dell'indennità del preavviso nell'ambito degli accordi sulla base degli articoli 4, 5 e 24 della legge 223/1991, in virtù della loro natura "gestionale". A tal proposito, la Corte distrettuale richiamava la sentenza della Corte costituzionale 268/1994, secondo cui il legislatore non ha previsto alcun potere sindacale di deroga a norme imperative, «bensì sostituisce alla determinazione unilaterale dei criteri di scelta, originariamente spettante all'imprenditore, una determinazione concordata con i sindacati», procedimentalizzando così il potere datoriale. Di conseguenza, per la Corte d'Appello, i licenziamenti trovavano il proprio cardine nell'accordo di gestione della mobilità, mentre la previsione sul preavviso non era applicabile in quanto immediatamente regolativa dei rapporti di lavoro.

La Suprema corte offre un'ampia disamina sulla natura degli accordi collettivi conclusi nell'ambito della procedura di licenziamento collettivo, giungendo a conclusioni opposte rispetto a quelle dei giudici di merito. In via preliminare, la Corte ritiene utile rammentare i princìpi generali dell'intangibilità dei diritti quesiti dei lavoratori, salvo specifico mandato o successiva ratifica, nonché l'applicabilità degli accordi sindacali a tutti i lavoratori ancorché non iscritti ai sindacati stipulanti, ad eccezione di coloro che, aderendo a un sindacato diverso, ne condividano l'esplicito dissenso.

Ciò premesso, con riferimento alla citata sentenza della Corte costituzionale, la Cassazione sviluppa un ragionamento differente rispetto a quello dei giudici di merito, rilevando come la procedimentalizzazione del potere datoriale risponda all'esigenza di favorire una gestione concordata della messa in mobilità dei lavoratori, con effetti diretti esclusivamente nei confronti dell'imprenditore stipulante, in quanto limite all'esercizio del suo potere organizzativo. Di conseguenza, non può negarsi pari efficacia anche alle pattuizioni contenute negli accordi secondo l’articolo 5 della legge 223/1991 di carattere "regolativo" dei rapporti di lavoro. L'accordo sindacale, infatti, prevedeva il licenziamento in via prioritaria dei lavoratori che avessero maturato i requisiti pensionistici entro un determinato lasso temporale, con il riconoscimento di tre mensilità di preavviso (a fronte delle sei previste dal Ccnl).

Tale disposizione, per la Cassazione, evidenzia inconfutabilmente «il collegamento funzionale tra la previsione concordata di una riduzione della indennità spettante a titolo di mancato preavviso con la definizione, anch'essa concordata e non unilaterale, dell'esercizio del potere di recesso» e in quanto tale è legittima. A tal proposito, la Corte richiama un precedente in cui è stata dichiarata la legittimità dell'accordo sindacale che aveva previsto l'eliminazione dell'indennità di preavviso, concordata allo scopo di ridurre i costi della procedura (Cassazione 19660/2019). Infatti, per la Cassazione, l'obbligazione pecuniaria di corrispondere l'indennità di preavviso «ben può costituire oggetto di accordo e rinuncia ed è pertanto suscettibile di essere oggetto di definizione concordata tra le parti sociali, chiamate, nel contesto di una crisi aziendale, a mediare per assicurare la prosecuzione dell'attività di impresa e la conservazione dei livelli di occupazione».

In virtù di tutto quanto sopra, dunque, la Suprema corte rileva che «tutta la procedura in questione appare perfettamente riconducibile nell'ambito della previsione di cui all'art. 8, comma 2 bis del D.L. n. 138/2011». Tale disposizione prevede la possibilità delle parti collettive di regolare in deroga alle disposizioni di legge e del Ccnl, nel rispetto della Costituzione e della normativa Ue, le materie tassativamente elencate al comma 2, tra le quali rientrano le «conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio» mediante intese finalizzate, tra l'altro, alla «gestione delle crisi aziendali e occupazionali». Infine, la disposizione sulla misura del preavviso è risultata altresì rispettosa della regolamentazione collettiva applicata nel caso di specie, in particolare dell'accordo quadro e del Ccnl, che prevedono entrambi la possibilità dei contratti aziendali di definire intese modificative del Ccnl per contenere gli effetti negativi derivanti da crisi aziendali.

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