Contenzioso

Appalti di servizi da affidare con una verifica su adeguatezza e congruità della retribuzione

I minimi retributivi fissati dai Ccnl normalmente sono un parametro idoneo. In alcuni casi i giudici hanno riparametrato le paghe in base ad altri contratti

di Valentina Pepe

L’appalto di servizi impone alle aziende committenti una valutazione attenta sull’affidabilità dellappaltatore prescelto, data la responsabilità solidale entro due anni dalla fine dell’appalto per le retribuzioni, le quote di Tfr, i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto, per i lavoratori coinvolti. Occorre dunque evitare di incorrere in contestazioni, che potrebbero avere riflessi sia sulla necessità di integrare le retribuzioni, sia sul piano contributivo.

L’appalto di servizi comporta una dissociazione fra titolarità del contratto di lavoro e utilizzazione della prestazione che, tra “cambio appalto” e “subappalti a catena”, può diventare terreno fertile per fenomeni di illegalità e di progressivo abbassamento dei livelli di tutela dei lavoratori utilizzati per svolgere l’attività.

Dumping salariale, ritardi o omissioni nei pagamenti, scarsa affidabilità e solidità delle imprese appaltatrici/subappaltatrici sono tra i problemi più gravi e diffusi, incidenti sulle condizioni sociali di fasce sempre più larghe di lavoratori impiegati in questo settore, con riacutizzazione di fenomeni di contrapposizione sindacale.

I rischi dei committenti

Nonostante l’attuale scenario, i committenti non sembrano valutare sempre adeguatamente i rischi derivanti dall’anteporre l’economicità dell’appalto all’affidabilità dell’appaltatore, rischi che si presentano in primis rispetto ai trattamenti retributivi del personale impiegato nell’appalto.

Il committente, in base all’articolo 29 del Dlgs 276/03, è responsabile solidalmente con l’appaltatore e con gli eventuali subappaltatori, entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, per i trattamenti retributivi, le quote di Tfr, i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti per il periodo di esecuzione del contratto di appalto.

La responsabilità del committente sorge non solo in caso di mancato pagamento della retribuzione pattuita a favore dei lavoratori impiegati nell’appalto, ma anche se la retribuzione, pur corrisposta dall’appaltatore, non risulti proporzionata o sufficiente in base all’articolo 36 della Costituzione, che fissa il diritto inderogabile del lavoratore «ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa».

Nel caso, quindi, di applicazione di trattamenti retributivi non conformi al dettato dell’articolo 36, possono ingenerarsi rivendicazioni – anche nei confronti del committente - da parte del personale dell’appalto, degli enti previdenziali e delle autorità ispettive.

Per lungo tempo i minimi retributivi dei contratti nazionali sottoscritti dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sono state ritenute dai giudici, in base a una presunzione iuris tantum, parametro idoneo ad assicurare corrispondenza al precetto costituzionale (Cassazione 4622/ 2020). In tale contesto, l’applicazione da parte dell’appaltatore di un contratto nazionale sottoscritto dalle organizzazioni sindacali più rappresentative, ha normalmente costituito elemento di garanzia e tutela per il committente.

Ma negli ultimi anni si è assistito, a un progressivo percorso di emancipazione della giurisprudenza di merito che – con evidente attinenza rispetto l’attuale dibattito sul “salario minimo obbligatorio” - è andata a valorizzare il carattere non assoluto ma relativo della “presunzione di conformità” all’articolo 36 della Costituzione dei parametri retributivi previsti dai contratti stipulati dai sindacati più rappresentativi, presunzione che può quindi essere (ex post) superata dal giudice nell’ambito di un’analisi comparata con tutti gli altri contratti potenzialmente applicabili al settore.

Ne sono scaturite pronunce che – all’esito di un’analisi comparata tra contratti potenzialmente applicabili al settore oggetto della controversia - hanno conformemente ritenuto la non adeguatezza, ex articolo 36 della Costituzione, dei parametri retributivi previsti da contratti nazionali anche se stipulati dai sindacati più rappresentativi o se non aderenti al settore di attività, con conseguente condanna degli appaltatori e dei committenti, in via solidale, al pagamento delle differenze retributive. Rischi concreti, il cui depotenziamento non può prescindere da una scelta ponderata degli appaltatori ai quali affidare i servizi.

I paletti fissati dai giudici

Il confronto con altri Ccnl applicabili

Un lavoratore impiegato in un appalto di servizi al quale era applicato il trattamento economico di un Ccnl sottoscritto dai sindacati più rappresentativi contesta all’appaltatore la violazione dell’articolo 36 della Costituzione e chiede di adeguare la retribuzione a quella prevista da un altro Ccnl, ritenuto congruo. Il Tribunale di Torino accoglie la sua domanda (sentenza 1128/2019): pur riconoscendo che il Ccnl applicato dall’appaltatore fosse un contratto sottoscritto da organizzazioni sindacali più rappresentative, il Tribunale ha ritenuto che lo scostamento tra la retribuzione del ricorrente e quella che avrebbe percepito per le stesse mansioni in forza degli altri Ccnl applicabili fosse idonea a far cadere la presunzione di conformità all’articolo 36 della Costituzione.

L’analisi delle mansioni svolte

Un lavoratore impiegato in un appalto di servizi contestava la discrepanza tra le declaratorie del Ccnl applicato (sottoscritto dai sindacati più rappresentativi) rispetto alle mansioni effettivamente svolte e la violazione dell'articolo 36 della Costituzione, con richiesta di adeguare la sua retribuzione a quella prevista da un altro Ccnl, ritenuto aderente alle mansioni svolte. Il Tribunale di Milano (sentenza 413/2021) ha ritenuto il Ccnl applicato dalla società appaltatrice non congruamente applicabile rispetto all'attività svolta, dichiarando la nullità della clausola retributiva del Ccnl applicato per contrarietà all'articolo 36 della Costituzione. Ha quindi rideterminato la retribuzione dovuta, riconoscendo la responsabilità solidale del committente.

Subappalti da monitorare

L’Inps richiedeva al committente di un appalto il pagamento del debito contributivo non saldato da una società subappaltatrice nell’esecuzione dell’appalto stesso. Il committente eccepiva l’insussistenza della propria responsabilità solidale, per non aver mai autorizzato il subappalto che era, anzi, vietato nel contratto di appalto. La Cassazione (sentenza 27382/2019) ha respinto il ricorso del committente: l’obbligazione contributiva è un dovere indisponibile, e nel caso di mancato pagamento dai subappaltatori, non sarebbe coerente escludere da responsabilità solidale il committente, anche se la prestazione è stata effettuata violando il divieto di subappalto.

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