Contenzioso

La responsabilità del direttore generale valutabile dal giudice del lavoro

di Angelo Zambelli

L'ordinanza 17338/2021 del 17 giugno di Cassazione, pur ribadendo alcuni principi già affermati in passato in materia di qualificazione giuridica e configurabilità di più rapporti (societari e di lavoro) tra una società e una medesima persona fisica, presenta aspetti di notevole rilevanza: nonostante sia una pronuncia essenzialmente “processuale”, giacché decide una questione di rito e di competenza, inevitabili sono i riflessi sulla disciplina positiva.

La vicenda riguardava, infatti, un dirigente, avente anche funzioni di direttore generale, il quale, una volta adìto il giudice del lavoro per impugnare il suo licenziamento, doveva resistere alla domanda riconvenzionale della società volta a ottenere il risarcimento dei danni asseritamente cagionati dal suo operato. Il dirigente eccepiva l'incompetenza del giudice del lavoro in favore del Tribunale delle Imprese, trattandosi – a suo dire – di un'azione sociale di responsabilità e non di una pretesa risarcitoria inerente al rapporto di lavoro subordinato.

Il Tribunale di Livorno rigettava l'eccezione. Il dirigente proponeva quindi regolamento necessario di competenza dinanzi alla Cassazione, la quale, con la decisione in commento, ha confermato l'ordinanza del giudice livornese sulla base delle seguenti argomentazioni, precedute da due condivisibili premesse.

La prima: è configurabile in astratto un rapporto di lavoro (subordinato o autonomo) parallelo e diverso rispetto al rapporto societario (ad esempio, di amministratore o di consigliere di amministrazione). Il principio è stato recentemente ribadito, seppur in via incidentale in un inusuale paragrafo enfaticamente denominato «un'opportuna precisazione», dalla nota sentenza 1545/2017 delle sezioni unite, che a sua volta richiamava un altro precedente a sezioni semplici (Cassazione 1796/1996). La seconda: l'articolo 2396 del Codice civile estende sì le norme che regolano la responsabilità degli amministratori ai direttori generali (solo a quelli nominati dall'assemblea o, previa clausola statutaria, dal consiglio di amministrazione), ma fa espressamente «salve» le azioni esercitabili «in base al rapporto di lavoro».

Fatte queste premesse, la Cassazione ha ritenuto che la domanda riconvenzionale, per come formulata, avesse a oggetto inadempimenti esclusivamente inerenti al rapporto di lavoro dirigenziale, tra l'altro gli stessi posti a fondamento del licenziamento.Per commentare compiutamente l'ordinanza andrebbero letti gli atti di causa. Certo è che le sezioni unite del 2017, con un «radicale ripensamento» rispetto alla sentenza 10680/1994, reso necessario anche alla luce delle riforme del diritto societario susseguitesi a partire dal 2003, hanno riconosciuto come la figura dell'amministratore sia il «vero egemone» dell'ente sociale in quanto detiene, in via generale ed esclusiva, i poteri di gestione e di rappresentanza dell'impresa.

Per tale ragione, le sezioni unite hanno ricondotto il rapporto fra amministratore e società nell'ambito dei «rapporti societari» (articolo 3, comma 2, lettera a, del Dlgs 168/2003), con conseguente immedesimazione “organica” limitata solo verso l'esterno (nei rapporti con i terzi). Nei rapporti interni (tra società e amministratore) si configurerebbe, infatti, una relazione obbligatoria tra due soggetti distinti (rapporto «societario») cui si potrebbe aggiungere un altro rapporto (ad esempio, di lavoro subordinato), la cui configurabilità, tuttavia, deve essere verificata «in concreto», accertando lo svolgimento di attività estranee alle funzioni sociali caratterizzate dal vincolo di subordinazione sia pure attenuato (lavoro dirigenziale).

Nell'ordinanza in commento viene in rilievo la diversa figura del «direttore generale», ossia quella figura - dai tratti, invero, incerti anche a livello normativo - che può essere nominata dall'assemblea o prevista dallo statuto societario e, quindi, può rivestire una carica sociale (e non semplicemente le vesti di un dirigente d'azienda avente posizione apicale), le cui funzioni – di norma «esecutive» rispetto alle decisioni dell'organo amministrativo – possono consistere nella gestione e organizzazione interna dell'intera impresa, con esclusione del potere di rappresentanza della società (a meno che non vi sia stata un'esplicita attribuzione).

Al netto dell'affermazione di princìpi di diritto anche condivisibili, vero è che spesso risulta alquanto complesso accertare in concreto l'esistenza di uno o più rapporti (di lavoro e/o societari) e qualificarli secondo diritto e in coerenza. Ma ancora più difficile è distinguere la natura delle responsabilità quando, in capo alla stessa persona, si concentrano più rapporti, con la conseguenza che non sempre è ben chiaro, sotto quale veste, la medesima persona stia agendo o abbia agito.

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