Contenzioso

Per i furbetti del cartellino il patteggiamento ha efficacia di giudicato anche nel processo del lavoro

di Flavia Maria Cannizzo

Nei giudizi disciplinari che si svolgono davanti alle autorità pubbliche, la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti (patteggiamento) ha efficacia di giudicato quanto all'accertamento del fatto, alla sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso, e, pertanto, può essere posto alla base dell'irrogazione della sanzione disciplinare espulsiva.

Questo quanto da ultimo stabilito dalla Corte di cassazione con sentenza 20560/2021 del 19 luglio 2021, in riferimento al caso di un "furbetto del cartellino" impiegato alle dipendenze del ministero della Giustizia come cancelliere presso il giudice di pace di Lodi.

La vicenda processuale, che ha visto le parti coinvolte dapprima in un processo penale terminato in patteggiamento della pena e poi nel processo avverso il licenziamento disciplinare in sede lavoristica, trae le mosse dalla prassi del lavoratore e dei suoi colleghi di attestare falsamente le presenze mediante l'abusivo e reciproco utilizzo dei badge in dotazione.

Il Tribunale del lavoro di Lodi, prima, e la Corte d'appello di Milano poi, avevano statuito la legittimità del licenziamento disciplinare irrogato al lavoratore sulla base dell'accertamento che presso l'ufficio giudiziario in questione operasse in quegli anni un vero e proprio sistema illecito per la "copertura" reciproca di ritardi, assenze o ritardati rientri dalle pause pranzo. Il tutto era certamente reso ancor più grave dal fatto che il lavoratore fosse il cancelliere capo, con la conseguenza che tale sistema illecito era invalso e utilizzato presso l'ufficio anche da taluni sottoposti, sulla scorta del suo "cattivo esempio" e indirizzo.

Il lavoratore dapprima si era difeso nel merito giustificando la sua assenza dal servizio sulla base di non meglio specificati impegni presso il Tribunale di Lodi, mai provati in corso di causa, mentre in Cassazione aveva fatto ricorso contro il licenziamento sulla base di svariati motivi, tra cui principalmente l'asserita impossibilità per i giudici del lavoro di fondare l'accertamento della sussistenza dei fatti sulla base di quanto emerso in sede penale successivamente al licenziamento stesso. Ed è su questo punto che i giudici di legittimità smentiscono recisamente le argomentazioni del ricorrente.

Richiamano, infatti, l'orientamento formatosi sul punto, il quale ritiene che la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti (patteggiamento) secondo l’articolo 444 del Codice di procedura penale abbia efficacia di giudicato anche in sede civile e del lavoro quanto all'accertamento del fatto, alla sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso. E non può ravvisarsi, secondo i giudici di Cassazione, «alcuna preclusione alla valorizzazione del giudicato in sede giudiziale, per la circostanza che la sentenza penale sia successiva all'irrogazione della sanzione disciplinare», posto che il principio di immutabilità della contestazione va ritenuto delimitato ai fatti posti a base della contestazione e sanzione, e non certo ai mezzi di prova di cui il datore di lavoro può avvalersi in giudizio, i quali possono ben estendersi a fatti successivi confermativi ed accertativi dell'accaduto.

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