Contenzioso

Somme al datore di lavoro al netto delle ritenute

di Salvatore Servidio

La Corte di cassazione, con ordinanza 27 agosto 2021, n. 23531, afferma che dopo che è stata riformata la sentenza favorevole al lavoratore il datore ha diritto alla restituzione delle somme versate al netto delle ritenute fiscali, non potendo pretendere di ripetere importi al lordo, mai entrati nella sfera patrimoniale del prestatore d'opera
Nel caso oggetto dell'ordinanza n. 23531/2021 della Cassazione, la Corte d'appello ha parzialmente accolto l'appello dal lavoratore, condannandolo a restituire alla società datrice la somma di 48.162,01 euro, detratte le ritenute fiscali. A tal fine, il giudice considera che, in caso di riforma della sentenza di condanna del datore di lavoro al pagamento di somme in favore del lavoratore, il datore ha diritto di ripetere solo le somme effettivamente percepite dal lavoratore e non può pretendere la restituzione di importi al lordo, mai entrati nella sfera patrimoniale del dipendente.
Nel conseguente ricorso per Cassazione la datrice sostiene che la fattispecie in esame non possa essere ricondotta all'istituto della condictio indebiti (ex articolo 2033 del Codice civile), con la conseguenza che deve riconoscersi all'interessato il diritto di essere reintegrato dall'accipiens dell'intera diminuzione patrimoniale subita, quindi anche della somma erogata al lordo, a prescindere dalla circostanza che una quota del relativo importo sia stata materialmente versata all'Erario, in adempimento di un obbligo di legge.
Con il secondo motivo si denuncia violazione degli articoli 38, comma 1, del Dpr n. 602/1973 e 10, comma 1, lett. d-bis), del Dpr n. 917/1986, per avere la sentenza d'appello a torto ritenuto applicabile al caso l'articolo 38 anziché l'articolo 10, in quanto il primo disciplina l'ipotesi in cui un soggetto abbia eseguito per errore un versamento diretto all'Amministrazione finanziaria, riconoscendogli poi il diritto di presentare istanza di rimborso, laddove nel caso di specie non vi è alcun errore imputabile alla parte datoriale, che aveva l'obbligo di versamento quale sostituto d'imposta. Invece, in base alla norma del Tuir, il contribuente lavoratore ha la possibilità di dedurre fiscalmente dal proprio reddito le somme restituite al soggetto erogatore, potendo chiedere, in alternativa, il rimborso dell'imposta corrispondente all'importo non dedotto.
Nel decidere la vertenza, la Corte di legittimità respinge il ricorso datoriale affermando che, in caso di riforma, totale o parziale, della sentenza di condanna del datore di lavoro al pagamento di somme in favore del lavoratore, il datore ha diritto di ripetere quanto il lavoratore abbia effettivamente percepito e non può pertanto pretendere la restituzione di importi al lordo di ritenute fiscali mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente, a nulla rilevando la modifica dell'articolo 10 del Tuir ad opera dell'articolo 150, comma 1, del Dl n. 34/2020 (legge n. 77/2020), invocato dal datore di lavoro laddove la previsione dell'obbligo di restituzione al netto delle somme ricevute dal lavoratore positivizza l'indirizzo giurisprudenziale assolutamente prevalente e non consente di inferire la correttezza della diversa interpretazione (Cass. 12933/2018; n. 2135/2018; n. 19735/2018; 31503/2018; n. 440/2019; n. 8614/2019; n. 13530/2019; n. 5890/2020; n. 10533/2020; n. 17271/2020; n. 18996/2020; n. 21622/2020).
Nel merito, la Suprema corte argomenta che è errato, da parte datoriale, ritenere applicabile alla fattispecie l'articolo 10, primo 1, lett. d-bis) del Tuir (in base al quale sono deducibili dal reddito le somme restituite al soggetto erogatore se tassate in anni precedenti, nel presupposto che la restituzione sia al lordo delle ritenute fiscali), in quanto l'obbligo fiscale viene meno in senso retroattivo fin dall'origine con la riforma della sentenza in base alla quale è sorto, ipotesi rientrante nell'ambito dell'articolo 38, comma 1, del Dpr n. 602/1973 (restituzione per l'esecuzione di un versamento non dovuto).
È vero che il versamento che il datore esegue come sostituto d'imposta (articolo 64, Dpr n. 600/1973) in base alla sentenza provvisoriamente esecutiva non risulta frutto di un errore ma costituisce un atto dovuto; tale versamento diventa tuttavia erroneo con la riforma o la cassazione della sentenza favorevole al lavoratore perché viene meno il titolo in base al quale il pagamento era stato effettuato. Ne segue che il versamento risulta privo di titolo ex tunc in quanto effettuato a fronte di un obbligo inesistente (anzi, non più esistente).
In definitiva, a prescindere dai rimedi che il lavoratore può esperire nei confronti dell'Amministrazione finanziaria, il datore non può ripetere più di quanto il lavoratore abbia effettivamente percepito, mentre il Dl n. 34/2020 (decreto Rilancio) «non consente di inferire la correttezza della diversa interpretazione» proposta dall'impresa alla Corte di Cassazione.
La novella del decreto Rilancio si applica quindi alle somme restituite dal 1° gennaio 2020.

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