Contenzioso

Legittimo licenziare via sms o per email solo in caso individuale

Per i Tribunali è rispettata la forma scritta ma non basta per i riassetti aziendali

di Giampiero Falasca

La polemica sui licenziamenti collettivi intimati via cellulare è spesso fondata su una ricostruzione imprecisa dei fatti: in tutte le vicende finite al centro della cronaca di questi mesi, non c’è mai stato un vero e proprio “licenziamento via whatsapp”. Le procedure di licenziamento collettivo sono sempre state intimate con le forme previste dalla legge - per iscritto, informando le organizzazioni sindacali e le autorità competenti – ma poi le aziende hanno deciso di mandare un messaggio whatsapp per dare notizia della chiusura aziendale. Questa scelta ha creato un corto circuito mediatico, dando l’idea che fosse possibile avviare una procedura di riduzione collettiva del personale usando lo smartphone. Idea sbagliata per un motivo molto semplice: la legge 223 del 1991 impone forme specifiche per l’avvio di un licenziamento collettivo, che non possono essere eluse con un semplice messaggio digitale di poche righe.

La questione diventa più complessa se si analizza la possibilità di usare un messaggio telefonico per intimare un licenziamento individuale. Rispetto a casi di questo tipo, anzi, la giurisprudenza si è sempre mostrata aperta, riconoscendo la possibilità di utilizzare le tecnologie digitali (posta elettronica o messaggi) per i recessi individuali. In particolare, la giurisprudenza ritiene sufficienti questi strumenti per rispettare il requisito della forma scritta del licenziamento previsto, quale elemento essenziale e imprescindibile del licenziamento, dalla legge 604/1966.

Secondo i giudici, infatti, sono valide tutte le forme di comunicazione che realizzano lo scopo di trasmettere a una persona un certo documento, consentendo di affermare con certezza che è venuto a conoscenza del lavoratore. Sulla base di tale principio, è stato ritenuto lecito il licenziamento comunicato mediante invio di una e-mail al dipendente (Cassazione, sentenza 29753/2017). In tale ipotesi, la Suprema corte ha messo in evidenza che l’aspetto rilevante è la certezza che l’email sia venuta a conoscenza lavoratore; tale certezza può derivare dalla risposta alla email da parte del soggetto licenziato o da altri elementi (il racconto a colleghi del licenziamento).

Nella stessa ottica, il Tribunale di Catania (ordinanza del 27 giugno del 2017) ha ritenuto valido il licenziamento intimato via whatsapp, trattandosi di un documento informatico imputato con certezza al datore di lavoro e dal quale discende l’inequivoca volontà di licenziare comunicata efficacemente al dipendente (analoga considerazione è stata fatta in caso di licenziamento intimato via sms, Corte d’appello di Firenze, sentenza 629/2016).

La legittimazione dell’uso dei messaggi digitali non vuol dire, ovviamente, che sia opportuno e consigliabile usarli per una comunicazione così importante e dolorosa.

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