Contenzioso

L’uso improprio dei permessi può portare al licenziamento

di Marcello Floris e Valentina Pomares

L’abuso o l’utilizzo improprio dei permessi ex lege 104/1992 non è privo di conseguenze per il lavoratore: conseguenze che possono essere di tipo disciplinare, ma anche sfociare nella responsabilità penale, perchè integrano il reato di truffa ai danni dello Stato. Il disvalore sociale di questa condotta è infatti in re ipsa, ed essendo astrattamente qualificabile come reato, non richiede neppure una preventiva pubblicità mediante, ad esempio, affissione di un codice disciplinare.

In relazione al rapporto di lavoro, la giurisprudenza di legittimità ha pacificamente sancito l’applicabilità del licenziamento al caso di abuso dei permessi 104. La Cassazione ha ribadito a più riprese il principio secondo cui l’uso del permesso per interessi di tipo personale e, in quanto tali, ultronei rispetto a quello assistenziale richiesto dalla legge, è idoneo a ledere in modo irreparabile il vincolo di fiducia a fondamento del rapporto di lavoro, concretandosi in una violazione dei canoni di correttezza e buona fede. Peraltro, con riguardo alla proporzionalità tra addebito disciplinare al lavoratore e recesso del datore di lavoro, è rilevante ogni condotta che sia in grado di scuotere la fiducia di quest’ultimo, che da quel momento mette in dubbio la futura correttezza dell’adempimento del lavoratore, risultato poco incline ad attuare i suoi obblighi secondo diligenza, buona fede e correttezza. Così dunque, è stato ritenuto legittimo il licenziamento del dipendente che, durante la fruizione dei permessi 104, si dedicava ad attività di carattere ricreativo o, non si era mai mosso dal proprio domicilio per recarsi presso la casa del familiare da assistere o, ancora, prestava attività lavorativa.

Ebbene, proprio a fronte dell’uso distorto da parte del lavoratore dei permessi, è sempre più frequente il ricorso da parte delle aziende ad agenzie investigative per smascherare gli eventuali abusi. Questa tipologia di controlli, per giurisprudenza ormai consolidata, è legittima poiché non è volta all’ accertamento dell’esatto adempimento della prestazione lavorativa, vietato in base all’articolo 2 e 3 dello Statuto dei lavoratori. Le condotte oggetto di controllo sono di fatto estranee all’attività lavorativa considerata in sé e per sé, ma comunque rilevanti sotto il profilo del corretto adempimento delle obbligazioni che scaturiscono dal rapporto di lavoro. Conseguentemente, l’eventuale recesso da parte della società è legittimo poiché il dipendente approfitta della buona fede non solo del datore di lavoro, ma anche dell’Ente previdenziale che eroga il trattamento economico. Tuttavia, si badi bene che è necessario che le risultanze investigative raccolte siano tali da offrire un quadro indiziario completo ed esaustivo. Si pensi, ad esempio, che i giudici della Cassazione hanno annullato il licenziamento intimato a una dipendente poiché l’agenzia investigativa aveva fornito un quadro lacunoso, in forza del quale non poteva ritenersi dimostrato che, nel caso specifico, la lavoratrice avesse svolto attività incompatibili con l’assistenza alla madre disabile. La lavoratrice si era infatti dedicata a una serie di attività a vantaggio dell’anziana madre che non implicavano necessariamente la permanenza presso la sua abitazione.

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