Contenzioso

Per i permessi 104 serve il nesso diretto tra assenza dal lavoro e assistenza al familiare

Le giornate di pausa dall’impiego non hanno un valore compensativo. L’uso delle ore per attendere a esigenze diverse integra un abuso del diritto

di Marcello Floris e Valentina Pomares

L’ordinanza della Cassazione 28606/2021 definisce nuovamente i requisiti necessari per l’uso legittimo dei permessi ex lege 104/1992, precisando che il lavoratore che chiede il permesso deve garantire al familiare disabile un intervento assistenziale continuativo e globale, pur potendo nell’arco temporale coinvolto dedicare intervalli di tempo alle esigenze personali di vita. Ove venga a mancare del tutto il nesso causale tra l’assenza dal lavoro e l’assistenza al disabile, si è in presenza di un utilizzo improprio del permesso e di una grave violazione dei doveri di correttezza e buona fede che genera la responsabilità del dipendente. Peraltro, nel caso specifico, il dipendente – trovato a lavorare nel negozio della moglie – per dimostrare l’assistenza nei confronti del familiare disabile, aveva dedotto di essersi trattenuto nell’abitazione della madre per circa 50 minuti per prepararle il pasto. Circostanza quest’ultima che, secondo la Corte, non era però sufficiente a escludere il disvalore della condotta.

Fino al 2000, per ottenere i permessi per assistere un familiare disabile era necessario il requisito della convivenza. Nella formulazione successiva dell’articolo 33 della legge 104/1992 erano poi stati inseriti i diversi requisiti della «continuità» ed «esclusività» dell’assistenza per la fruizione di tali permessi (esclusi i genitori che assistono figli conviventi). Negli anni, la giurisprudenza ha cercato di delineare gli incerti confini applicativi della normativa di riferimento, ritenendo, ad esempio, non rilevante che nell’ambito del nucleo familiare del soggetto disabile convivessero altri familiari non lavoratori idonei a fornire l’aiuto necessario. L’evoluzione interpretativa della giurisprudenza è stata poi recepita dal Legislatore che, con il “collegato lavoro”, ha modificato l’articolo 33, non prevedendo più che il lavoratore debba assistere il disabile con continuità e in via esclusiva per usufruire dei permessi 104. L’attuale struttura dell’articolo 33 e dei requisiti per fruire di questa tipologia di permessi non ha sicuramente agevolato un uso congruo degli stessi. Al contrario, si assiste spesso al loro abuso, e oggi il discrimen fra uso corretto ed esercizio abusivo è estremamente sottile, richiedendo un’indagine di tipo fattuale sul nesso causale diretto tra la fruizione del permesso e lo svolgimento di attività a carattere assistenziale in favore della persona disabile.

La giurisprudenza ha spesso ribadito la centralità del nesso causale, sottolineando che la tutela offerta dall’articolo 33 non ha funzione meramente compensativa o di ristoro delle energie impiegate dal lavoratore nel fornire assistenza. È sulla scorta di tale consolidato principio che si è ritenuto legittimo il licenziamento per giusta causa di una dipendente che si era dedicata per l’intera durata del permesso accordato dal datore di lavoro a esigenze di vita personali, estranee e incompatibili con l’assistenza ai genitori disabili. Recentemente, la Cassazione ha precisato che la centralità del nesso causale diretto con lo scopo assistenziale di tale tutela fa sì che l’uso delle ore di permesso per attendere a esigenze diverse integra un abuso del diritto e viola i principi di correttezza e buona fede, nei confronti del datore di lavoro e dell’Ente assicurativo. È stato così confermato il licenziamento del lavoratore che durante le ore di permesso si era recato al supermercato e poi al mare con la famiglia, piuttosto che presso l’abitazione della madre disabile da assistere. La recente pronuncia si è allineata a questi principi.

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