Contenzioso

I controlli difensivi esistono ancora?

di Valeria Zeppilli

I controlli del datore di lavoro sui propri dipendenti, regolati dall'articolo 4 dello statuto dei lavoratori, hanno subito delle profonde trasformazioni a seguito dell'opera riformatrice del cd. jobs act.
L'intervento è stato così significativo che, in diverse occasioni, ci si è chiesti se le modifiche apportate allo statuto dall'articolo 23 del decreto legislativo n. 151 del 2015 abbiano lasciato "in vita" i controlli difensivi. A rispondere e spazzare via ogni dubbio ci ha pensato la Corte di cassazione (sezione lavoro, 12 novembre 2021, n. 34092).
Nella formulazione previgente della norma, come ricordato dai giudici, il controllo difensivo era ritenuto legittimo al ricorrere di tre presupposti concomitanti.
Innanzitutto, l'iniziativa del datore di lavoro doveva essere specificamente indirizzata all'accertamento di determinati comportamenti illeciti del lavoratore. Inoltre, occorreva che gli illeciti da accertare fossero lesivi del patrimonio dell'azienda o della sua immagine. Infine, era richiesto che i controlli fossero esercitati ex post, ovverosia dopo che il lavoratore aveva posto in essere il comportamento in addebito. A essere precisi, mentre i primi due presupposti erano considerati dalla giurisprudenza necessari e indispensabili, l'ultimo era reputato meramente confermativo ed eventuale.
In ogni caso, i controlli difensivi dovevano essere esercitati nel rispetto delle regole di civiltà e di criteri ragionevoli, a garanzia del bilanciamento tra le esigenze di salvaguardia della dignità e della riservatezza del dipendente e le esigenze datoriali di protezione dei beni aziendali.
Nel domandarsi se tale impianto concettuale sia o meno sopravvissuto al jobs act, la Corte di cassazione ha ritenuto di dover condividere i più recenti orientamenti che hanno ribadito la regola che il controllo a distanza dell'attività dei lavoratori è legittimo solo se alla sua base vi sono le esigenze indicate dall'articolo 4. Il che vuol dire che ancora oggi deve ritenersi vietato il controllo fine a se stesso.
I giudici, tuttavia, sono andati più nel dettaglio e hanno distinto tra controlli difensivi in senso stretto e controlli difensivi in senso lato.
Questi ultimi sono i controlli che interessano tutti i dipendenti o dei gruppi di dipendenti nello svolgimento della prestazione lavorativa che li pone a contatto con il patrimonio aziendale da difendere. Per essi è previsto il necessario rispetto delle previsioni del nuovo articolo 4 dello statuto dei lavoratori.
I controlli difensivi in senso stretto, invece, sono quelli volti ad accertare, nello specifico, delle condotte illecite che, sulla base di indizi concreti, sono riconducibili a singoli dipendenti. Tali controlli, pur se relativi a comportamenti accertati durante la prestazione lavorativa e anche se effettuati con strumenti tecnologici, si collocano al di fuori del campo di applicazione dell'articolo 4, in quanto non interessano la normale attività del lavoratore.
Del resto, la procedura richiesta dal predetto articolo per installare un impianto di controllo è stata istituzionalizzata al fine di permettere la vigilanza sindacale ed eventualmente amministrativa su scelte che interessano l'organizzazione dell'impresa.
Non avrebbe lo stesso senso applicare una simile procedura ad eventi straordinari ed eccezionali quali quelli alla base della necessità di accertare e sanzionare dei gravi illeciti posti in essere da un singolo lavoratore.
Nei predetti termini, i controlli difensivi continuano a esistere e la Corte di cassazione ha tenuto a precisare che la loro sopravvivenza deve ritenersi compatibile con la tutela della riservatezza di cui all'articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Occorre comunque assicurare che le esigenze di protezione di interessi e beni aziendali siano correttamente bilanciate rispetto alla tutela della dignità e della riservatezza del lavoratore, tenendo conto delle esigenze del caso concreto.

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